Il Governo di Giuseppe Conte ha offerto una poltrona -ma soprattutto un riconoscimento- all’esponente del Partito democratico, Luciano D’Alfonso. Il senatore abruzzese si posiziona alla presidenza della commissione Finanze del Senato succedendo ad Alberto Bagnai.
La vicenda non è di poco conto evidentemente. In prima battuta perché D’Alfonso, pur non essendo espressione politica di una regione importante a livello nazionale dal punto di vista economico, incarna il vero potere. Il senatore, infatti, è stato governatore della Regione Abruzzo nonché sindaco e presidente della Provincia di Pescara.
Oggi D’Alfonso con 17 voti favorevoli, quattro in più rispetto ai 13 della maggioranza, si insedia in commissione Finanze.
Al di là della carriera politica del “big”, D’Alfonso in Abruzzo gode di simpatie trasversali. Vanta un’amicizia forte, ad esempio, con l’imprenditore Carlo Toto. Rapporto che gli ha creato non pochi guai dal punto di vista giudiziario.
Le inchieste
Il 15 dicembre 2008 la procura di Pescara, con l’inchiesta “Housework” dispone il suo arresto ai domiciliari con una serie di imputazioni relative ad attività di tangenti e scambio di favori tra imprenditori e Comune di Pescara. Secondo l’accusa vi erano una serie di favori ricevuti proprio dal costruttore Toto in cambio dell’assegnazione di appalti e di trattamenti di favore, come biglietti gratuiti per voli della compagnia Air One, vacanze regalate in diversi luoghi del Mediterraneo e cene di rappresentanza.
Per Luciano D’Alfonso arriva un altro procedimento nel 2010 quando la procura di Pescara, nuovamente, lo indaga -insieme a imprenditori e funzionari ANAS- nell’ambito della vicenda riguardante la mancata realizzazione della S.S. 81 (Mare-Monti) quando era presidente della Provincia. Le accuse sono di truffa in quanto considerato referente politico degli imprenditori Toto per la realizzazione, senza autorizzazioni, della statale S.S 81 dentro la riserva naturale del lago di Penne.
Nel 2011 scatta l’inchiesta Caligola & Ecosfera in cui la procura dell’Aquila iscrive D’Alfonso nel registro degli indagati per l’affidamento in carico di una progettazione sul porto di Pescara affidata alla società Ecosfera quando era sindaco della città. D’Alfonso è rinviato a giudizio per associazione a delinquere, corruzione, soppressione di atti e rilevazione di atti di ufficio. , fatti di cui è stato assolto con formula piena.
Le assoluzioni
Dai procedimenti D’Alfonso esce pulito. L’11 febbraio 2013 il tribunale assolve D’Alfonso da tutte le accuse con formula piena per non aver commesso il fatto, facendo decadere i 25 capi di accusa. E nel marzo 2015 la Corte d’Appello dell’Aquila conferma la sentenza di proscioglimento nell’ambito dell’inchiesta Housework. Nel maggio 2018, arriva l’ennesima vittoria per D’Alfonso: ancora la Corte d’Appello dell’Aquila lo assolve da tutte le accuse “per non aver commesso il fatto” per la Mare-monti.
Il 24 aprile 2017 il tribunale dichiara prescritti i reati; D’Alfonso ricorre contro l’ordinanza che aveva rilevato la prescrizione per ottenere l’assoluzione piena. Il 16 maggio 2018 la Corte d’Appello dell’Aquila assolve D’Alfonso da tutte le accuse “per non aver commesso il fatto”. Per Caligola & Ecosfera l’assoluzione con formula piena arriva nel 2014. L’ultima vittoria per D’Alfonso arriva il 27 agosto 2018 quando il gip Mario Cervellino dispone l’archiviazione del procedimento sulla vicenda di Penne in quanto “[…] Dal contenuto delle telefonate intercettate emergono attività del tutto lecite, integranti esercizio dell’azione amministrativa e doverosa correlativa sorveglianza, mancando in modo assoluto indici di pressioni indebite. […] le sole telefonate oggetto di captazione non forniscono prova di alcuna attività criminosa.”
Il potere dalfonsiano
Per capire la potenza politica di D’Alfonso -e su cui in tanti si sono accaniti utilizzando la clava giustizialista- basta ricordare un famoso incontro avvenuto nel 2013 che proprio Zone d’Ombra Tv portò all’attenzione nazionale. L’occasione fu quella del convegno al teatro Circus di Pescara. Intervennero, tra gli altri, Donato Bruno, allora senatore della Repubblica, don Vincenzo Amadi, vicario della curia arcivescovile di Pescara-Penne, Luigi Savina, questore di Milano e Francesco Bocca, deputato Pd. L’occasione fu quella -anche- della celebrazione politica per il ritorno di D’Alfonso dopo la ‘pausa’ giudiziaria. Donato Bruno, senatore di Forza Italia, non era uno qualsiasi. Nel 2014 il suo nome circolò tra i candidati a giudice della Corte Costituzionale in quota centrodestra, in sostituzione di Luigi Mazzella.
La magistratura al completo
Quella sera del 2013, però, ad applaudire D’Alfonso c’erano altri tre nomi molto importanti. C’era, ad esempio, Nicola Trifuoggi, già procuratore distrettuale antimafia de L’Aquila e poi a capo della Procura della Repubblica di Pescara quando lo stesso D’Alfonso fu arrestato. Trifuoggi, però, è lo stesso che nel gennaio del 2014, ovvero appena una mese dopo la “festa” al Circus, diviene vicesindaco de L’Aquila a guida Cialente (Pd). Ma quella sera in platea c’erano anche altri due magistrati: Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli della procura della Repubblica di Pescara. Giudici di rilievo se si pensa che proprio Di Florio e Bellelli, di lì a pochi giorni, trascinarono in tribunale la quasi totalità della Giunta del governatore abruzzese, Gianni Chiodi.
Gli avvisi di garanzia
La Procura della Repubblica di Pescara spicca, il 23 gennaio 2014, 25 informazioni di garanzia, con invito a comparire, nei confronti del presidente della Giunta, Gianni Chiodi, di quello del Consiglio, Nazario Pagano e di altre 23 persone, tra assessori e consiglieri. I reati contestati sono truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo, peculato e falso ideologico. Ma gli stessi Di Florio e Bellelli, ora rispettivamente a capo delle Procure di Vasto e Sulmona, sono gli stessi che arrestarono Ottaviano Del Turco il 14 luglio del 2008 per presunte tangenti per 6 milioni di euro. Operazione che il capo della Procura Trifuoggi definì resa possibile per la “valanga di prove schiaccianti”.
Il caso Bussi
Ma il nome di D’Alfonso esce anche sul caso Bussi. “Nel 2014 il giudice Camillo Romandini parla del processo di Bussi prima della sentenza con il governatore abruzzese Luciano D’Alfonso, che peraltro rappresenta la parte civile e il tutto avviene a cena, a casa di amici comuni” riferì il Fatto a maggio 2018.
Il quotidiano rese noto che il giudice Romandini aveva organizzato una cena prima della sentenza per dare un “avvertimento” alla giuria popolare. Non solo. Si diffuse anche la notizia dell’assoluzione che il presidente della Regione Luciano D’Alfonso anticipò a Cristina Gerardis. “Era preoccupatissimo -riferisce ai giudici di Campobasso la Gerardis-, mi disse che la sentenza sarebbe stata di assoluzione. Sentirlo dalla voce del presidente della Regione, che era parte civile del processo, mi colpì molto. Poi venni a sapere che incontrò i pm Mantini e Bellelli con Romandini e parlarono del processo. “Circolano 3 milioni di euro per la sentenza del processo Bussi. Me lo ha detto Luciano D’Alfonso”.
Era il 4 dicembre 2014
L’avvocata dello Stato Cristina Gerardis – oggi direttore generale della Regione Abruzzo, voluta proprio dal governatore D’Alfonso – espresse questo concetto, durante a cena dinanzi a parecchi testimoni. E sono proprio i testimoni a raccontarlo. Mancavano 15 giorni all’ultima udienza, quella che assolse 19 ex dirigenti Montedison dall’accusa più grave, l’avvelenamento delle acque, e derubricò da doloso a colposo il reato di disastro ambientale, consentendo loro di accedere alla prescrizione.
D’Alfonso-Toto e la questione politica
Le battaglie politiche contro D’Alfonso sono state condotte anche -e soprattutto- per la sua amicizia con Carlo Toto. “Conosco Luciano D’Alfonso dalla metà degli anni Ottanta, da quando era un ragazzino. Mio fratello Carlo Toto lo conosce quanto me: Luciano è venuto ai matrimoni, alle nostre feste, ha frequentato gli uffici della Toto, è come uno di famiglia”. A parlare così è Mario Toto il fratello dell’imprenditore Carlo.
I viaggi
Un’amicizia che ha permesso a D’Alfonso di fare viaggi a Chicago, Malta, Istanbul, Santiago de Compostela, Zagabria, Spalato. Poi biglietti aerei, jet privato, motoscafo-taxi. A volte il costo complessivo della vacanza. Cene elettorali e di rappresentanza. Persino un autista a disposizione con Alfa Romeo 166 parcheggiata sotto casa. Tutto gratis. Un’amicizia che pesa e apre a giudizi politici e di opportunità. “È davvero incredibile la spudoratezza con cui un presidente di Regione come Luciano D’Alfonso ci comunichi di avere intenzione di privatizzare l’aeroporto d’Abruzzo e in particolare di star pensando alla nota impresa rispetto alla quale si è autodefinito ‘damo di famiglia’ per giustificare ‘regali’ ricevuti”.
Questo dichiarava il segretario nazionale di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo al taglio del nastro di D’Alfonso per la conclusione dei lavori di riqualificazione delle aree ‘airside’ dell’aeroporto d’Abruzzo, dichiarando di volere aprire ai privati e facendo il nome della famiglia Toto.
Amicizia molto contestata anche dagli attuali colleghi di governo del M5S che hanno agevolato e votato la sua candidatura alla presidenza della commissione Finanze del Senato.
Siamo ad agosto del 2016 e si discute delle varianti al tracciato delle autostrade A-24 e A-25 (Strada dei Parchi di Toto) caldeggiate da D’Alfonso. Il ministero dei Trasporti, rispondendo a una interrogazione del deputato a 5 stelle, Gianluca Vacca, boccia l’opera. “Resta da chiedersi per quale motivo il Presidente D’Alfonso abbia tanto caldeggiato la realizzazione di questa devastante opera” osservava Vacca.
Le critiche
E critiche arrivarono anche dal gruppo regionale del Movimento: “Ora non ha più alibi. Se ne faccia una ragione, il Ministero ha confermato quello che in Regione dicevamo da tempo: il progetto è in contrasto con Direttive Europee e Leggi Statali che consentono solo opere di messa in sicurezza e non nuovi tracciati. Ci auguriamo, a questo punto, che si interrompa quella che sembrava una ingiustificata azione di sponsorizzazione dell’opera da parte del Governo regionale, che si interrompa il tendenzioso dibattito sugli organi di informazione locale e che il Presidente D’Alfonso cominci a curare le reali esigenze e priorità dei cittadini abruzzesi” aggiungeva Sara Marcozzi, capogruppo M5S in Regione Abruzzo.
D’Alfonso l’alleato dei 5 stelle
Oggi, evidentemente, è tutto cambiato. C’è una maggioranza Pd-5stelle che ha seppellito la battaglia politica e si è alleata. Rimangono dubbi, com’è ovvio, proprio su quelle battaglie che dipingevano D’Alfonso come la personificazione del male. Di due una: o D’Alfonso non era il male e dunque è stata fatta una guerra per opportunismo politico, oppure D’Alfonso era il male, e sempre per opportunismo politico, ora i 5 stelle se lo tengono stretto. Anzi, gli regalano una poltrona. Sì perché a volere D’Alfonso sono stati nomi importanti come Primo Di Nicola ed Elio Lannutti. A riferirlo proprio lui, il senatore: “Ringrazio ovviamente il mio partito, il Pd, poi i colleghi 5 Stelle che hanno svolto un ruolo di facilitazione importante, ringrazio Primo Di Nicola, Elio Lannutti, Laura Bottici, Tiziana Drago, Emiliano Fenu e Cinzia Leone”.
Di Nicola ex direttore
Proprio quel Di Nicola, ex direttore del quotidiano abruzzese Il Centro, che il 2 maggio 2018, eletto senatore del M5S, si stracciava le vesti per l’incompatibilità di D’Alfonso tra la carica di presidente della giunta regionale e neo senatore. “Occorre sanare -tuonava Di Nicola dal Senato- questa incompatibilità tangibile ed evidente, che calpesta da ben due mesi il dettato della Carta costituzionale e la Costituzione stessa. Il presidente D’Alfonso resiste, continuando ad occupare le due cariche con grave danno per la normale attività della Regione Abruzzo. L’attività di un Consiglio regionale è bloccata per le ambizioni di un uomo politico”.
Come si cambia per non morire.
di Antonio Del Furbo
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