Luca Palamara non conosceva l’ex avvocato Pietro Amara. Il magistrato ha ribadito: “Non ho mai avuto rapporti con lui, l’ho visto una sola volta in vita mia”. E della Loggia Ungheria, Luca Palamara non è informato, è totalmente esterno alla questione di merito e come ex presidente dell’Anm non ha mai avuto notizie in merito.
“Sono uno spettatore della vicenda, vorrei capire se c’è un doppiopesismo”. Luca Palamara si riferisce al clamore suscitato dal suo caso, finito al centro dello scandalo intercettazioni. Il magistrato ha una certezza: “Ho scelto di fare il magistrato per una forte spinta ideale legata anche a mio padre che è stato un grande magistrato. Mi sono sempre battuto per quegli ideali, io quegli ideali sento di non averli mai traditi”.
I verbali
Il caso dei verbali relativi alla Procura di Milano resi noti ai giornalisti è un altro elemento che dimostra i problemi taciuti della magistratura italiana, che si limitano al solo caso Luca Palamara. E proprio Palamara evidenzia questo aspetto: “È stato individuato in me l’unico responsabile di un sistema che non funzionava. Tutti mali concentrati in una cena dove si discuteva quali votazioni fare”. Palamara è diventato per tutti il capro espiatorio di un sistema imperfetto: “Oggi al Csm si giudicano le carriere dei magistrati a seconda che abbiano interloquito con me nelle chat o meno”. Una considerazione che già aveva fatto nei mesi precedenti.
La versione di Davigo
Piercamillo Davigo è intervenuto a Piazzapulita per esporre la sua verità in merito ai verbali di Pietro Amara consegnati al Csm. “Qualunque strada formale avrebbe comportato il disvelamento di tutta la vicenda e quindi c’era la necessità di informare i componenti del comitato di presidenza, perché questo dicono le circolari, in maniera diretta e sicura”, ha detto l’ex pm.
“Quello che dice Davigo non mi convince”
Alfredo Robledo, ex procuratore aggiunto di Milano, dopo l’intervento di Piercamillo Davigo a Piazzapulita, ha sostenuto: “La ricostruizione di Davigo non mi convince per niente. Non è vero che se Davigo avesse seguito le linee formali avrebbe disvelato il caso”. Nel suo intervento ha proseguito: “Amara è un avvelenatore di pozzi, la Loggia Ungheria è una farsa”.
L’intervento di Ardita
La discussione in studio sul ruolo di Piercamillo Davigo sul caso specifico è intervenuto il giudice Sebastiano Ardita, il cui nome è presente nelle carte della Loggia Ungheria, con una chiamata effettuata direttamente in diretta. “Al netto della bufala clamorosa, io sono basito da quanto sentito oggi. Devo sentir dire che non si possono seguire le linee formali? È gravissimo”, ha dichiarato il giudice in collegamento telefonico. Ardita, inoltre, ha dichiarato di non aver mai conosciuto l’avvocato Pietro Ardita in privata sede ma di averlo interrogato una volta nel 2018.
I guai di Davigo
Marcella Contrafatto appena una settimana fa si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Ora, però, di fronte ai pm di Roma cambia linea e dice di essere pronta a collaborare.
Contraffatto è l’ex segretaria di Piercamillo Davigo al Csm. È sospettata di essere il “corvo” che ha diffuso i verbali di Piero Amara a giornali e consiglieri di Palazzo de’ Marescialli, indagata per calunnia dagli inquirenti capitolini. La sua difesa ha fatto ricorso al tribunale del Riesame, sostenendo che “manca il presupposto per la configurabilità del reato”.
La Contrafatto, sospesa dalle funzioni al Csm, avrà un confronto con i pm di tenore diverso dall’ultimo, in cui non ha detto una parola. Se ora collabora potrebbe aggiungere tasselli determinanti per capire il ruolo avuto da Davigo, che ricevette i verbali secretati dal sostituto di Milano Paolo Storari, in conflitto con i vertici della procura per la gestione delle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno di Eni sulla loggia massonica Ungheria. La funzionaria dovrà raccontare com’è entrata in possesso del materiale riservato, se è stata sua e solo sua la decisione di inviare plichi anonimi a giornalisti e consiglieri, come Nino Di Matteo.
Dovrà anche spiegare se ha a che fare qualcosa con questa storia la busta di 4mila euro, scoperta durante le perquisizioni, con una data scritta sopra di poco antecedente al primo invio dei dossier. “Aspettiamo la decisione del tribunale del riesame – spiega il suo difensore, l’avvocato Alessia Angelini -. La Procura non ha depositato atti nuovi mentre noi abbiamo presentato una memoria difensiva. Ci sono accertamenti in corso e la mia assistita è pronta a collaborare con le indagini”. L’istanza chiede la restituzione del materiale sequestrato nelle perquisizioni disposte dai pm di Roma.
La competenza
Una questione aperta è quella della competenza, perché Davigo ha confermato che i documenti secretati gli sono stati consegnati da Storari a Milano e non a Roma, dunque la procura di Brescia che si occupa dei magistrati milanesi potrebbe reclamare l’inchiesta. I pm romani contestano il reato più grave di calunnia (nei riguardi in particolare del consigliere del Csm Sebastiano Ardita, ex amico di Davigo con il quale ha poi rotto i ponti) e questo potrebbe mantenere il fascicolo nella Capitale.
Intanto il Csm decide di costituirsi come parte offesa nei procedimenti pendenti davanti a varie procure sul caso, dopo la richiesta al comitato di presidenza del gruppo dei togati di Magistratura Indipendente. Si chiederanno informazioni alle autorità giudiziarie, attraverso l’Avvocatura dello Stato.
Davigo avrebbe detto di aver informato Ermini degli attriti nella procura di Milano e che questi avrebbe avuto dal Colle indicazioni perché non si procedesse per via formale, con un esposto al Csm. Se sia vera questa ricostruzione è tutto da chiarire.