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Lo Stato nel mirino: dossier, infiltrazioni e la rete di spionaggio che minaccia la democrazia

Lo Stato nel mirino: dossier, infiltrazioni e la rete di spionaggio che minaccia la democrazia

Un’organizzazione composta da professionisti del crimine informatico ha accumulato una mole di informazioni riservate

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Un’organizzazione composta da professionisti del crimine informatico e della sorveglianza illegale sembra aver accumulato una mole impressionante di informazioni riservate. Accatastati circa 800 mila fascicoli sottratti alla banca dati interforze del ministero dell’Interno, lo Sdi.

Lo Stato nel mirino: dossier, infiltrazioni e la rete di spionaggio che minaccia la democrazia. Nei dossier, ottenuti tramite accessi abusivi, compaiono dati di semplici cittadini, imprenditori, professionisti, e soprattutto politici e le loro famiglie. Samuele Calamucci, uno dei protagonisti della vicenda, vantava il valore dei file raccolti affermando: «Con i report che abbiamo possiamo rovinare chiunque».

Il quadro descritto dalla Procura di Milano è allarmante. Tra i dati rubati emergono dettagli su figure di alto livello, come il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, e altri nomi noti, inclusi Matteo Renzi, Letizia Moratti e Carlo Sangalli. Gli indagati, tra cui spiccano nomi come Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera Milano, e l’ex poliziotto Carmine Gallo, si muovevano nell’ombra, puntando a penetrare e manipolare i sistemi informativi di deputati, senatori e consiglieri regionali. Calamucci, ancora una volta, vantava la capacità del gruppo di eludere le protezioni delle forze di polizia: «Il server è a Londra, perché in Italia rischiamo l’arresto».

Pericolo per la democrazia

Secondo il pubblico ministero Francesco De Tommasi, l’indagine ha portato alla luce un “pericolo per la democrazia”, in quanto l’organizzazione avrebbe potuto condizionare le scelte pubbliche e la vita politica del Paese. Tra i loro piani, vi era persino l’idea di utilizzare i dossier per favorire determinate forze politiche: Andrea De Donno, altro sospettato, progettava di mettere le informazioni a disposizione della Lega, che, secondo lui, «da tempo era interessata» a quei dati. Anche Forza Italia sarebbe stata coinvolta, ma secondo la senatrice Licia Ronzulli, citata negli atti come mandante di verifiche su alcune persone, si tratterebbe di millanterie.

L’indagine, però, non si ferma qui.

Spuntano ipotesi inquietanti su possibili legami del gruppo con ambienti dei servizi segreti e della criminalità organizzata. «Il gruppo di via Pattari 6 sembra avere una o più ‘talpe’ negli uffici giudiziari milanesi», scrivono i pm, che hanno rinvenuto una foto di uno schermo all’interno del Palazzo di Giustizia di Milano, indicante una ricerca effettuata nel database del tribunale. Tra i file trovati, un documento classificato «riservato» e riconducibile all’Aisi, l’intelligence interna italiana, oltre a un provvedimento interdittivo della Prefettura di Milano.

Tra gli indagati figura anche l’ingegnere informatico Gabriele Pegoraro, che ironicamente lavorava in una società di sicurezza informatica, collaborando con procure e istituzioni di rilievo. Le carte dell’inchiesta rivelano anche contatti tra Gallo e agenti dei servizi, con Calamucci che racconta: «Abbiamo clienti di alto livello e contatti nei servizi segreti. Alcuni li consideriamo affidabili, altri meno, ma le informazioni possono diventare prove».

Gli inquirenti hanno anche documentato un episodio emblematico: il 4 luglio 2023, le telecamere mostrano Gallo e Calamucci all’interno del Palazzo di Giustizia di Milano, nell’ufficio di una giudice civile che avrebbe richiesto l’aiuto dell’agenzia “Equalize” per questioni personali. Un illecito, secondo i pm, che presto potrebbe portare gli stessi Gallo e Calamucci a un ritorno in tribunale per motivi ben diversi.

Un sistema oscuro di potere e controllo

Parlando ai suoi collaboratori, Gallo non si limitava solo a raccomandare riservatezza, ma usava parole forti e minacciose: «Queste sono cose riservatissime. Se parlate, vi dobbiamo uccidere». Dietro a queste affermazioni si cela la necessità di proteggere segreti esplosivi, che intrecciano legami con pregiudicati per mafia e connivenze con apparati dello Stato. Il gruppo operava con un livello di sofisticazione preoccupante, tenendo sotto controllo informazioni riservate che avrebbero potuto compromettere la stabilità istituzionale e la privacy dei cittadini. Il messaggio della Procura è chiaro: se tali informazioni fossero arrivate a determinati attori politici o criminali, l’impatto sulla democrazia sarebbe stato devastante.

Il giudice che chiedeva favori alla rete di spionaggio Equalize

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