Dopo la morte del leader dei radicali, in tanti hanno raccontato pezzi di vita comuni con lui. Ma ce n’è uno che, anche grazie a Marco Pannella, ha avuto una vita cambiata.
di Antonio Del Furbo
L’anno era il 1975 quando nella sede del Partito Radicale di via Torre Argentina a Roma si consumò l’arresto di Pannella. E per farsi condurre a Regina Coeli se ne inventò un’altra delle sue, tra le più clamorose. In conferenza stampa si fumò uno spinello davanti a un poliziotto: rappresentò, per quei tempi, una forte azione contro la legge che voleva in carcere chiunque detenesse sostanze stupefacenti.
Quel poliziotto si chiamava Ennio Di Francesco (l’ultimo a destra nella foto) ed era un commissario di polizia, capo della narcotici. Uno ‘sbirro’ che quarant’anni dopo quel gesto si è iscritto al Partito Radicale per “un atto di gratitudine per le tante battaglie portate avanti” nei confronti di Pannella.
Quelli erano anni turbolenti. Erano i famigerati anni ’70 in cui la polizia sparava ad altezza uomo. Ma lì, proprio in quel conflitto sociale, accade qualcosa di strepitoso: un uomo delle forze dell’ordine e un liberale convinto sono del parere che la legge del 1958 sulla droga andava cambiata e il metodo repressivo eliminato.
Per questo, quando il commissario dovette far scattare le manette ai polsi di Pannella decise, la sera stessa dell’arresto, decise di inviargli in carcere un telegramma di solidarietà:
“Se come funzionario ho dovuto applicare una legge anacronistica e iniqua, come cittadino mirante a una società più giusta e umana, non posso non esprimerle stima e ammirazione”.
Quelle parole a Di Francesco gli costarono caro. E racconta:
“Pannella avvertì polizia, carabinieri e organi di stampa della disobbedienza civile che intendeva, di lì a poco, mettere in atto. Andai in via di Torre Argentina 18 con un solo appuntato cercando di passare inosservato. Mi venne ad aprire Gianfranco Spadaccia. Dissi subito chi ero e che non avevo il mandato sperando di essere allontanato, ma mi fece accomodare. Fui accolto da pernacchie e sentii ripetere più volte la parola ‘sbirro’. Il salone era pieno di giornalisti e fotografi. Dopo un’ora di interventi, Pannella estrasse dalla tasca una sigaretta, l’accese e iniziò a fumarla: ‘Questo è uno spinello di marijuana’, disse rivolgendosi a me, ‘Invito il rappresentante della legge ad arrestarmi'”.
E ricordando quei momenti aggiunge:
“Mi ricorda, con un misto di nostalgia ed emozione, tempi lontani, quando la sorte mi ha fatto incontrare questo carismatico ‘personaggio’ che allora non conoscevo. Ho vissuto, tramite lui, un’esperienza straordinaria che oggi, con la forza del tempo, credo abbia segnato un mutamento importante nel modo di affrontare la problematica droga”.
Rinchiuso in carcere Pannella ricevette il telegramma di solidarietà del commissario che finì immediatamente in prima pagina del quotidiano “Momento Sera” con tanto di foto: “Il commissario che ha arrestato Pannella gli esprime solidarietà”.
Di Francesco, in un’intervista all’associazione Luca Coscioni racconta che:
“quella legge di fatto apriva anche per consumatori casuali o tossicodipendenti, spesso ragazzi, due sole vie obbligatorie: il carcere, perché criminali, o il ricovero manicomiale, perché pericolosi per se stessi e per gli altri. L’incontro con Pannella e il suo arresto mi permise di mettere in evidenza tutta l’assurdità di questa legge, attraverso un telegramma, riservato, inviatogli a Regina Coeli, ma che doveva restare l’espressione di una solidarietà personale. Ingenuamente non avevo tenuto conto dell’abilità politica del “personaggio” che lo rese subito pubblico. Di qui il mio trasferimento immediato e la denuncia al magistrato nei miei confronti per ‘presunto reato’ in quel telegramma. Ovviamente era un pretesto dell’amministrazione per sbarazzarsi di un funzionario scomodo: in quello stesso periodo avevo promosso con altri ‘carbonari’ il Movimento per la democratizzazione e la riforma della Polizia.”
Dunque, racconta all’Ansa:
“Mai nessun pentimento. Ero convinto dell’anacronismo di una legge che sanciva il carcere obbligatorio o l’ospedale psichiatrico per minorenni e tossicodipendenti magari solo per uno spinello”.
Limpido il ricordo di quell’allontanamento:
“Mentre venivo trasferito, sotto la questura sfilavano giovani radicali, forse un sussulto di rimorso di Pannella, una ragazza aveva un cartellone con scritto: ‘Di Francesco è colpevole di pensare'”.
Si dice convinto Di Francesco che Pannella rappresentava istanze che avevano una trasversalità politica e che metteva il seme anche in una società conservatrice per via di affinità tra anime.
“quell’episodio per il clamore che ebbe e per gli interventi di riflessione che ci furono a livello giuridico e filosofico – intervennero in senso positivo verso di me il filosofo Guido Calogero, il presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca, Stefano Rodotà – accelerò l’iter di discussione e approvazione, che avvenne nel dicembre del ’75, della nuova legge. Con le norme introdotte si eliminò un approccio meramente repressivo e si introdusse maggior attenzione per la prevenzione”.
Scrissero nel 1996, parlndo di Di Francesco, Vittorio Foa, Antonio Giolitti, Norberto Bobbio, Francesco Cossiga, Antonino Caponnetto, don Antonio Riboldi, Giovanni Conso e Leo Valiani:
“Avendo conosciuto il dottor Ennio Di Francesco e avendone apprezzato l’impegno professionale, sociale e democratico, auspico che le autorità competenti operino affinché lo stesso possa tornare a fornire il proprio contributo di intuizione, esperienza e professionalità nella lotta contro la criminalità organizzata, comune e politica”.