Secondo Global Slavery Index il 2023 vede una diffusa presenza di “schiavitù moderna” nel mondo, con un focus particolare sulla situazione in Italia. Sono oltre 50 milioni le persone che vivono in condizioni di schiavitù moderna, di cui 200 mila in Italia, e la tendenza è in aumento da almeno un decennio.
L’Italia degli schiavi. La schiavitù moderna non è legata solo agli schemi tradizionali di sfruttamento del capitalismo, ma è influenzata anche da guerre, aumenti dei prezzi dei beni essenziali e eventi internazionali come i Mondiali di calcio.
Le forme di schiavitù
La schiavitù moderna assume varie forme, compreso il lavoro forzato, il matrimonio forzato, la servitù per debiti, lo sfruttamento sessuale commerciale forzato e la tratta di esseri umani. Queste situazioni derivano dalla privazione della libertà delle persone, che non possono rifiutare o abbandonare a causa di minacce, violenza o coercizione. La situazione sembra peggiorare, non migliorare, secondo l’Indice mondiale della schiavitù.
I motivi
I motivi che trasformano i lavoratori in moderni schiavi sono vari e spesso legati alle condizioni sociali nei loro paesi d’origine. Le persone che fuggono da conflitti, disastri naturali o repressione politica sono particolarmente vulnerabili. Le donne, i bambini e i migranti illegali sono i più colpiti da questa situazione.
L’Italia non è immune da casi di schiavitù moderna, spesso legati alla criminalità organizzata.
Tuttavia, le politiche sulla migrazione e la mancanza di un quadro normativo adeguato per punire chi sfrutta hanno contribuito a peggiorare la situazione. Il rapporto evidenzia anche che la schiavitù moderna è un problema globale, con gli Stati Uniti che hanno visto un raddoppio delle persone coinvolte negli ultimi cinque anni.
La fondatrice dell’organizzazione Walk Free, Grace Forrest, sottolinea che la situazione è preoccupante e che la risposta delle autorità è in diminuzione, soprattutto nei confronti delle agromafie. Il report presenta anche una classifica dei Paesi peggiori e virtuosi in termini di schiavitù moderna, con la Corea del Nord al primo posto tra i peggiori e la Svizzera al primo posto tra i virtuosi. Tra i prodotti a rischio di schiavitù, i Paesi del G20 hanno speso di più per l’elettronica, gli indumenti e l’olio di palma.
In conclusione, nonostante gli sforzi globali per combattere la schiavitù moderna, i progressi negli ultimi cinque anni sono stati minimi, e il problema persiste su scala mondiale.