C’è sempre un occhio di riguardo nei confronti dei giudici dalla gran parte dei media. Eppure, evidentemente, la vera casta degli intoccabili sono proprio i magistrati.
È di recente riscontro il calo dell’Italia nella classifica mondiale della libertà di stampa, scivolando dal 41° al 46° posto. Nel rapporto del World Press Freedom Index, redatto da Reporter senza frontiere (RSF), emerge chiaramente che le pressioni dei governi rappresentano uno dei principali responsabili di questa situazione che coinvolge diverse nazioni nel mondo. In Italia, in particolare, si evidenziano due fattori significativi: l’approvazione della controversa “legge bavaglio” da parte della maggioranza parlamentare e il successo dell’impresa di Antonio Angelucci, imprenditore nel settore sanitario, deputato della Lega e proprietario di importanti testate giornalistiche come Libero, Il Giornale e Il Tempo, nel suo tentativo di acquisire l’Agenzia Giornalistica Italia (AGI).
E fin qui nulla di nuovo. In sostanza, gli intrecci tra politica e affari continuano e producono conflitti di interessi che a confronto Silvio Berlusconi è stato un chierichetto.
Il tema vero, però, è legato alla “non narrazione” delle attività di quei poteri – molto più ‘pericolosi’ della politica – che bloccano la libertà di stampa e del libero pensiero. Tra questi, ad esempio, la magistratura.
Può un giudice querelare un giornalista? Sì. Spesso e volentieri un magistrato – esattamente come un politico – utilizza la clava della querela con l’unico obiettivo – a quanto pare – di bloccare inchieste scomode. È capitato al sottoscritto che per un’inchiesta su un presidente di tribunale si è visto recapitare ben 4 querele. Risultato: assolto.
Ma di casi ce ne sono. E tanti.
Le ultime ore hanno portato alla luce un controverso episodio riguardante un presunto tentativo di limitare la libertà di stampa da parte dei pubblici ministeri di Firenze. La vicenda ha scatenato una serie di discussioni sul ruolo dei magistrati e sulle critiche che possono essere mosse nei loro confronti.
È emerso che i pm fiorentini hanno sollevato una sorta di “fatwa” nei confronti del giornale Il Foglio, richiedendo l’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) per presunti eccessi nell’esercizio del diritto di critica. Questo episodio ha sollevato interrogativi sul perché il presunto “bavaglio” dei magistrati non riceva la stessa attenzione e indignazione riservata alle minacce alla libertà di stampa provenienti dal mondo politico.
La storia di questo conflitto va al di là di un semplice scontro tra giornalisti e magistrati.
Rivela, infatti, dinamiche più complesse all’interno del sistema giudiziario italiano. L’intervento del CSM per “accompagnare all’uscita” alcuni magistrati fiorentini ha sollevato domande sulla gestione della procura di Firenze e sulle scelte effettuate dal Consiglio in merito alle nomine e ai trasferimenti dei pubblici ministeri.
In particolare, l’attenzione si è concentrata sul procuratore capo di Firenze, Filippo Spiezia, che ha richiesto al CSM una sorta di tutela per difendere la procura da presunte critiche eccessive da parte del giornale. Questo episodio ha messo in luce la delicata relazione tra magistratura e libertà di stampa, evidenziando un atteggiamento difensivo da parte dei magistrati nei confronti delle critiche provenienti dai media.
Tuttavia, ciò che rende questa vicenda ancora più significativa è la reazione – o meglio, l’assenza di reazione – da parte delle istituzioni e degli organismi che dovrebbero difendere la libertà di stampa. Mentre le minacce alla libertà di stampa provenienti dal mondo politico vengono regolarmente denunciate e condannate, le critiche ai magistrati sembrano incontrare una sorta di riserva o addirittura ostilità da parte di alcuni settori dell’opinione pubblica.
Questo atteggiamento solleva importanti questioni sulle dinamiche di potere e sul ruolo dei magistrati all’interno della società italiana. Il fatto che alcuni magistrati considerino le critiche come un affronto personale, al punto da richiedere l’intervento del CSM, suggerisce una sorta di “sacralizzazione” della figura del magistrato, che viene considerato al di sopra di ogni critica o scrutinio.
Mafia-appalti: archiviato e querelato
Altra vicenda riguarda le due querele all’attuale direttore de L’Unità, Piero Sansonetti, legate alle stragi di mafia del 1992, alla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma soprattutto al misterioso dossier mafia-appalti. Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte hanno querelato Sansonetti per due volte. Il giornalista aveva chiesto loro perché nel 1992 archiviarono il dossier mafia-appalti, sul quale Falcone lavorò e continuò a vigilare anche dopo il suo trasferimento a Roma al ministero della Giustizia. “Ho usato “insabbiato” al posto di “archiviato” ammette Sansonetti, ma “è gergo giornalistico” e “chiunque sa che una querela di un magistrato ha tra le 95 e le 100 possibilità su cento di essere accolta, il valore di intimidazione è evidentissimo”.
È la magistratura bellezza, la magistratura