Nel territorio in cui la destra laziale ha messo radici da anni, i clan, a loro volta, hanno messo le mani sulla politica. Lega e Fratelli d’Italia parrebbe. Quelli che, in sostanza, hanno fatto eleggere chi volevano e gestendo voti.
“A Latina possiamo contare obiettivamente su quella che è forse una delle migliori classi dirigenti di Fratelli d’Italia”. Queste le parole di Giorgia Meloni pronunciate in un lontano 2014 in occasioni delle elezioni europee. Come ricostruisce l’Espresso, “il cavallo di razza che appariva accoppiato con il suo nome sui manifesti elettorali era Pasquale Maietta”. Si tratta di un commercialista di successo, da sempre il primo degli eletti a destra, patron del Latina, squadra che sfiorò, all’epoca, la serie A.
Lo tsunami giudiziario
I giudici, appena dopo l’uscita della leader di Fratelli d’Italia, decisero di mandare Maietta agli arresti, con l’accusa di essere il “perfetto stratega” di un complesso sistema di riciclaggio che partiva da Latina per arrivare a Lugano. Lo studio di riferimento era lo SMC Trust, il “family office” presieduto da Max Spiess, subentrato nella carica al più noto Giangiorgio Spiess, l’avvocato tutore degli interessi di Licio Gelli nel Canton Ticino. Il salotto riferimento del mondo finanziario internazionale in cui passavano tantissimi soldi. Denaro che arrivava al Latina calcio, controllato da patron Maietta, utilizzato – secondo la procura – come una enorme lavatrice di denaro “di dubbia provenienza”. L’alleanza tra l’ex tesoriere di Fratelli d’Italia e il trust svizzero, che durava, secondo le indagini, dal 2007, era consolidata e ben oliata.
Radici lontane
Le radici del potere del “sistema Latina” si trovano sulla riva del Campo Boario. “Case basse, leoni lucidi di ceramica, il kitsch e i cavalli da corsa lasciati a pascolare nei campi sportivi comunali. È il mondo di sotto, il regno dei Di Silvio-Ciarelli” spiega ancora L’Espresso. Clan Sinti, parenti diretti dei più noti Casamonica, arrivati in terra pontina nel dopoguerra, negli anni ’90 hanno preso il controllo del narcotraffico. Un potere ottenuto taglieggiando, occupando pezzi di quartieri, sparando e uccidendo. Oggi, raccontano alcuni collaboratori di giustizia, si stanno prendendo la politica. Gestendo voti, garantendo affissioni intoccabili.
Brigata Littoria
Oggi Latina vuol dire Lega. L’assalto al Carroccio di Matteo Salvini c’è stato quando è tramontata l’epoca Maietta in seguito alle inchieste giudiziarie. Tutti i riciclati hanno ottenuto posizioni rilevanti nella Lega. Quasi tutti con un passato nero. “Orlando Tripodi, fino al 2016 in Forza nuova, è diventato il capogruppo leghista in Consiglio regionale, dopo aver perso sonoramente le elezioni comunali con una lista civica. L’ex An Matteo Adinolfi in quello stesso anno è passato alla Lega, guadagnando un posto in consiglio comunale, per poi essere eletto deputato europeo nelle ultime elezioni del 2019. Proviene dalla destra – il sindacato UGL – anche Claudio Durigon, deputato della Lega e responsabile del dipartimento lavoro del partito. Ma è il sentiment quello che conta nella città, nella antica Littoria.”
La terra di mezzo
La base della destra a Latina ha radici nella squadra di calcio e nei clan di Campo Boario. Terra di mezzo dove, secondo le indagini, si incontrano politica, tifoserie e manovalanza criminale. Gruppi ultras duri, ascoltati, nel 2014, mentre nella loro sede preparavano spranghe di ferro da portare in trasferta. Pronti, quando serviva, a spostare voti. Il Latina fino al 2017 è stato il regno assoluto di Pasquale Maietta. E del suo amico di sempre, Costantino “Cha cha” Di Silvio, uno dei primi esponenti dei clan a finire agli arresti.
Nel processo chiamato “Alba pontina”, istruito dalla Dda di Roma, l’accusa per i membri del clan è associazione mafiosa. “Non era necessario usare le armi – ha raccontato un collaboratore – non c’era bisogno perché ormai la gente sapeva che ti sparavano». Bastava il nome per abbassare la testa.”
Il suicidio dell’avvocato
A due giorni dal Natale del 2015 l’avvocato di Latina Paolo Censi, già presidente della Camera penale, si toglie la vita nel suo studio. La squadra mobile tra le sue carte trova la traccia che porterà ad una svolta nelle indagini sul Latina calcio e su Pasquale Maietta: “Dei fogli di un Block notes strappati, gettati al secchio e sui quali erano riportate diverse parole che, collegate tra loro, evidenziavano l’esistenza di uno scenario inequivocabile”, scrivono i magistrati nell’ordinanza di custodia cautelare che, nel 2018, porterà in carcere l’ex tesoriere di Fratelli d’Italia. In particolare due erano i riferimenti che colpirono gli investigatori: “Svizzera” e “Riciclaggio”.
“Due anni dopo uno degli uomini di fiducia del clan Sinti di Latina, Renato Pugliese, figlio illegittimo di “Cha cha” Di Silvio, inizia a collaborare. Ricostruisce il potere di quel mondo dove convivevano pezzi di politica, commercialisti scaltri e manovalanza criminale. Ricorda anche quel suicidio del 23 dicembre 2015, dando elementi importantissimi: ‘Riccardo Agostino (altro membro del clan, anche lui oggi collaboratore di giustizia, ndr) mi diceva che dietro la morte di Censi ci fosse una questione di soldi in Svizzera, circa 50-60 milioni di Maietta’. Le successive indagini, con rogatoria in Canton Ticino, sono riuscite a ricostruire il percorso solo di una parte di quel tesoro.”
Le indagini che arrivano fino alla Lega
La collaborazione di Pugliese apre scenari che arrivano fino al mondo politico di oggi, sfiorando i dirigenti passati dalla destra dura alla Lega di Matteo Salvini.
Per l’attuale sindaco della città, Damiano Coletta, esiste un “sistema Latina”: “Abbiamo dovuto ricostruire l’intera macchina amministrativa, ricreare le procedure, non è stato facile”. Ha provato, da primo cittadino, a chiedere aiuto a Salvini ministro dell’Interno il 29 settembre del 2018. Tutto era pronto, ma due ore prima dalla Prefettura cancellano l’incontro. Salvini arriva in città, ignorando quella richiesta di aiuto, e sul palco fa salire un volto che Damiano Coletta conosceva bene, Orlando Tripodi, oggi capogruppo della Lega in consiglio regionale. Era uno dei suoi avversari nel 2016, esponente dell’estrema destra prima di entrare nel partito di Salvini. Ed è uno dei tanti nomi entrati nel racconto del figlio di “Cha cha”, Renato Pugliese.
Quel gruppo era una sorta di batteria elettorale composta da ultras ed esponenti delle famiglie Sinti, i Morelli. I clan, nel 2016, si erano divisi i candidati della destra come si fa con una piazza di spaccio, racconta Pugliese: “Noi abbiamo fatto la campagna per Noi con Salvini (…) allora avevamo l’incarico dell’attacchinaggio”. “Il figlio di ‘Cha cha’ operava nella politica insieme a un altro esponente dei clan, Agostino Riccardo, che ha iniziato a collaborare poco dopo. E in aula Riccardo ha aggiunto altri particolari, altri nomi del mondo politico della destra. Partendo dall’elezione di Maietta nel 2013. L’ex tesoriere di FdI alla Camera risultò il primo dei non eletti ed entrò solo per la rinuncia di Fabio Rampelli, presente anche in altri collegi.”
Una scelta politica, ha sostenuto il vicepresidente della Camera. Un’imposizione dei clan, ha raccontato Agostino Riccardo: “L’onorevole Rampelli fu minacciato per dimettersi”.