Oltre duemila pagine di accuse. Numeri, documenti, ricostruzioni, inchieste giornalistiche e indagini legali. Tutto in un grosso faldone in cui sono rappresentate anche storie di vittime legate al Covid.
Stamattina gli avvocati dell’azione civile si sono presentati davanti al Tribunale Civile di Roma insieme a una cinquantina di familiari dei deceduti per Covid, scesi appositamente dalla Lombardia per assistere al primo round di una battaglia giudiziaria che si preannuncia infuocata.
Sono 70 i nuclei che si sono affidati al pool di legali guidati da Consuelo Locati. Non solo parenti delle vittime della prima ondata, ma anche quelli della seconda e terza, perché “nulla è stato migliorato per quanto riguarda la pandemia”. La procura di Bergamo, che indaga sulla strage in Val Seriana, sta facendo il proprio lavoro sul piano penale. A Roma invece si chiede al governo di risarcire i vivi colpiti dall’addio dei cari stroncati dal coronavirus. Si punta al riconoscimento di un danno subìto. Il valore della causa è di 100 milioni di euro.
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Il piano d’attacco procede su tre fronti: le accuse contro il governo (Conte II) e il ministero della Salute; quelle contro Regione Lombardia; e le cronache, drammatiche, di come le vittime sono cadute nelle valli tra Bergamo e Brescia. I legali analizzano “tutti gli aspetti ed i profili di responsabilità delle istituzioni” accusate di aver compiuto “atti omissivi o commissivi in violazione di legge e disposizioni normative nazionali e sovranazionali”.
Gli avvocati partono dai verbali della task force, pubblicati dal ministero solo dopo la battaglia politica (e giudiziaria) di Galeazzo Bignami. Passa per l’assenza di un piano pandemico nazionale aggiornato. E si intreccia con le circolari ministeriali sballate sul tracciamento dei contagi. Poi il report firmato da Francesco Zambon e scomparso dal sito dell’Oms; le responsabilità di Giuseppe Conte e Roberto Speranza; e il mistero delle autovalutazioni spedite dall’Italia all’Oms. Dalle “omissioni” delle istituzioni, scrivono i legali, “sono derivati i decessi di 126mila persone”.
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Sono 5 le responsabilità del ministero della Salute e della Presidenza del Consiglio.
- il mancato aggiornamento del piano pandemico e la decisione di non applicare quello del 2006.
- l’invio di autovalutazioni all’Oms “non corrispondenti” al livello di preparazione del Paese.
- una “comunicazione del rischio” ai cittadini “non conforme” alle linee guida dell’Oms.
- l’aver redatto un piano segreto “in fretta e furia” quando “ormai il virus stava uccidendo centinaia di persone”.
- la mancata sorveglianza epidemiologica che avrebbe permesso di scovare il Covid prima di febbraio 2020.
I legali dell’azione civile ne sono certi: “Tutto quello che il nostro Paese avrebbe dovuto avere e che è alla base della preparazione in vista di una pandemia, in realtà non l’aveva”. Mancava l’aggiornamento del piano pandemico e quello vecchio “era solo un work in progress impossibile da attivare e attuare”. Non si sapeva “quali fossero i reparti di malattie infettive nelle strutture ospedaliere, quanti fossero i posti nelle terapie intensive, in quale percentuale potessero essere implementati”. Buio totale anche sulle “scorte di reagenti”, sui “laboratori certificati sul territorio” e sui Dpi disponibili per i medici in prima linea. Gli scenari possibili? Non previsti. Il tracciamento? Poco o niente, come la sorveglianza attiva.
“Le istituzioni italiane – si legge – sono corse ai ripari a raffazzonare gli interventi che avrebbero dovuto essere immediatamente attivati, con una perdita di tempo che ha contributo a far perdere migliaia di vite umane”. “Da queste omissioni e violazioni è derivato che i medici sono stati obbligati a scegliere a chi salvare la vita e chi lasciare morire”.