In Italia, il settore agricolo e zootecnico sta attraversando una crisi profonda, dovuta a un modello economico che non riconosce adeguatamente i costi di produzione e mette a rischio la sostenibilità di molte aziende.
Latte, costo di produzione e prezzo sostenibile. Chi affonda le aziende? Recentemente, diverse manifestazioni hanno visto agricoltori e allevatori unire le loro voci per chiedere prezzi equi, una moratoria sui debiti derivati da prezzi troppo bassi e misure contro la concorrenza sleale dei prodotti esteri. Queste richieste, sebbene già in parte tutelate da direttive europee, sembrano cadere nel vuoto delle politiche nazionali.
Il prezzo del latte: un esempio di insostenibilità economica
Il latte è uno dei prodotti che meglio rappresenta le difficoltà del settore. Secondo una ricerca condotta da Tarcisio Bonotto, presidente dell’Istituto di Ricerca Prout , attualmente, i produttori ricevono un compenso che non copre nemmeno i costi di produzione. ISMEA (Istituto per i Servizi al Mercato Alimentare) calcola il prezzo del latte alla stalla, ma i suoi parametri sono incompleti e sottostimano il reale costo di produzione, omettendo voci fondamentali come spese amministrative, ammortamenti degli animali, oneri finanziari, e svalutazione crediti. Secondo le analisi condotte, il prezzo del latte stabilito da ISMEA è inferiore del 9,8-15,5% rispetto ai costi reali delle aziende medio-grandi.
Questa situazione ha portato molte aziende al collasso. Solo in Emilia Romagna, 30.000 aziende agricole sono a rischio chiusura a causa della mancanza di ricambio generazionale, direttamente collegata alla bassa redditività del settore. In Puglia, 2.200 aziende hanno già cessato l’attività, e dal 1984 ad oggi, in tutta Italia, sono scomparse circa 140.000 stalle. Questo scenario è aggravato dalla mancanza di un margine di profitto che permetta alle aziende di investire in manutenzione, adeguamento normativo, e sviluppo sostenibile.
La definizione di Prezzo Sostenibile: una necessità per la sopravvivenza del settore
Il concetto di “prezzo sostenibile” proposto dagli agricoltori non è solo una questione di giustizia economica, ma una necessità per la sopravvivenza delle aziende. Questo prezzo dovrebbe includere il costo di produzione calcolato da bilancio aziendale, più un utile razionale minimo del 15%, necessario per garantire la continuità e lo sviluppo delle attività agricole.
Oggi, la filiera produttiva vede il produttore agricolo ottenere solo una piccola parte del prezzo finale del prodotto. Un esempio emblematico è la mela ruggine di Zevio (VR), venduta a 0,28€ al campo, rivenduta dal grossista a 1,20€ e poi offerta al consumatore a 2,60€. Questo squilibrio non penalizza solo i produttori, ma anche i consumatori, che pagano un prezzo sproporzionato rispetto al valore reale del prodotto.
La resistenza del sistema e le richieste degli allevatori
Le recenti audizioni presso la Commissione Agricola del Senato hanno evidenziato la resistenza dei grandi attori del settore a una maggiore trasparenza sui costi di produzione. Il presidente di ASSOLATTE ha espresso timori che la trasparenza possa creare problemi nella vendita dei derivati del latte nella grande distribuzione. Al contempo, l’Associazione Italiana FOOD, rappresentante dei grandi trasformatori agroalimentari, ha proposto l’abolizione dell’Art. 4 del Decreto Agricoltura, che tutela i costi di produzione, in favore di contratti privati che lasciano campo libero alla speculazione.
Un futuro sostenibile per l’agricoltura Italiana
La proposta degli allevatori e agricoltori italiani è chiara: calcolare i costi di produzione basandosi sui bilanci aziendali reali e stabilire un prezzo sostenibile che includa un utile razionale. Solo in questo modo sarà possibile garantire la sopravvivenza delle aziende agricole, ridurre la dipendenza dalle sovvenzioni pubbliche, e permettere al settore di adeguarsi ai cambiamenti normativi e ambientali.
L’aumento richiesto di 8 centesimi al litro per il latte, o di 10 centesimi al chilogrammo per i cereali, è una cifra minima che potrebbe essere facilmente assorbita dalla filiera o, in ultima istanza, trasferita ai consumatori, con un impatto minimo sul prezzo finale. Questo modesto aggiustamento potrebbe salvare un intero settore economico, evitando ulteriori chiusure e prevenendo la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Conclusioni
Il settore primario italiano è a un bivio: continuare con un modello economico insostenibile, che porta al fallimento delle aziende e alla scomparsa di un patrimonio produttivo e culturale, o adottare un nuovo approccio che riconosca il valore reale del lavoro agricolo e la sua importanza strategica per l’economia nazionale. Le richieste degli allevatori e degli agricoltori sono un appello alla ragionevolezza e alla sostenibilità, per un futuro in cui il prezzo dei prodotti agricoli riflette non solo i costi di produzione, ma anche il valore del lavoro e della vita delle comunità rurali.