Anm Abruzzo contro il diritto di critica sulla sentenza Rigopiano. Il silenzio su Palamara e la lezione di Beccaria
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Arriva dalla Giunta distrettuale Anm Abruzzo la piena solidarietà al giudice del processo per la tragedia di Rigopiano, Gianluca Sarandrea.

Giampaolo Matrone, di Monterotondo, è sopravvissuto alla strage di Rigopiano. Ma oggi è solo perché sotto quella valanga che ha distrutto l’hotel Rigopiano ha perso la moglie. “Fate schifo, vergogna” ha urlato nei confronti del giudice Gianluca Sarandrea. E per questo è partito un fascicolo d’inchiesta per minacce al giudice.

“Pur esprimendo vicinanza ai familiari della tragedia di Rigopiano – scrive l’Associazione nazionale magistrati abruzzese – che ha per sempre segnato il nostro territorio, e al dolore che gli stessi hanno manifestato, respingiamo fermamente ogni forma di attacco espresso senza che siano conosciute le motivazioni della sentenza, soprattutto se questo proviene da organi istituzionali, chiamati innanzitutto a garantire lo Stato di diritto di cui fanno parte”.

Secondo la Giunta distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati “in uno Stato di diritto, la critica alle pronunce giurisdizionali deve avvenire nei modi di rito e il costituzionale e inviolabile diritto di critica non può essere esercitato, specie se proviene dagli organi istituzionali, prima di aver letto le motivazioni della sentenza, risolvendosi altrimenti in una critica arbitraria, che si estende alla magistratura tutta, chiamata a giudicare secondo diritto, principio di legalità e indipendenza e a rivalutare, nei successivi gradi, ove necessario, le proprie decisioni; giammai ad assolvere o a condannare secondo quanto voluto dall’opinione comune”.

Poi l’affondo:

 “le reazioni scomposte alla sentenza di ieri (23 febbraio 2023, ndr) diffuse sulla stampa, sui social, nei programmi televisivi, continua a minare il principio di indipendenza ed imparzialità del Giudice, che costituisce il baluardo di uno Stato democratico e che dovrebbe essere difeso dagli organi istituzionali, non dagli stessi indebolito e compromesso”.

All’Anm Abruzzo sfugge, evidentemente, che spesso e volentieri è la magistratura che contribuisce a ridare un’immagine propria di inadeguatezza e di parzialità. L’Associazione nazionale magistrati, forse, fa fatica a ricordare lo scandalo Palamara – non ricordiamo prese di posizione dell’Associazione in merito ai fatti documentali – che ha portato la magistratura a un livello di credibilità prossimo allo zero.

“L’Italia sarà pure la culla del diritto, ma la creatura non è mai cresciuta”

Un tempo l’Italia, culla del diritto, ora è costretta a fare i conti con corporazioni che sconfinano spesso nel terreno della politica. Proprio l’Anm continua a fare politica intervenendo quotidianamente su leggi del governo e sull’attività parlamentare. Dovrebbero i giudici astenersi dal commentare le decisioni del governo? Sì, esattamente come un politico dovrebbe non commentare una sentenza. Dovrebbero non esserci correnti all’interno della magistratura? Sì, esattamente come in qualsiasi organo indipendente al servizio dei cittadini e che, nel caso particolare, sentenzia in nome del popolo italiano.

Qualcosa da ridire sull’Anm e sui molti giudici lo avrebbe certamente Cesare Beccaria critico nei confronti dei magistrati del suo tempo. Beccaria, già all’epoca, sosteneva che i giudici spesso agivano in modo arbitrario e che i processi non erano equi. Egli proponeva la creazione di un sistema giudiziario basato sulla legge e sulla ragione, dove la giustizia veniva amministrata in modo equo e trasparente.

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Se Beccaria fosse vivo oggi, probabilmente avrebbe apprezzato i progressi nella formazione dei magistrati e nell’adozione di regole e procedure per garantire l’indipendenza e l’imparzialità del sistema giudiziario. Tuttavia, potrebbe essere deluso dal fatto che ancora oggi esistano casi di corruzione e di comportamenti arbitrari da parte di alcuni magistrati.

Inoltre, potrebbe criticare l’eccessiva politicizzazione della giustizia e la pressione esercitata sui magistrati da parte dei media e dell’opinione pubblica. Beccaria, infatti, sosteneva che la giustizia dovesse essere amministrata in modo indipendente e senza interferenze esterne.

Scriverebbe, ad esempio, che molte leggi non sono dettate dagli interessi generali della società vivente, ma dagli interessi particolari di partiti politici e gruppi di pressione, che privilegiano esigenze politiche contingenti d’immagine e di propaganda. Vedrebbe nella politica-spettacolo, che ispira tante delle nostre leggi, un fattore di corruzione della legislazione penale, non dissimile dalla sovrapposizione tra reato e peccato. Riscontrerebbe una pericolosa tendenza a legiferare ricorrendo a leggi parziali e con rimedi tumultuosi, dettate più dalle passioni che dalla ragione, più dal fine di tranquillizzare le coscienze che dall’utile sociale.

Si scaglierebbe contro un sistema penale distribuito in migliaia di leggi e di leggine, non raccolto in un codice di poche leggi, chiare e semplici, e direbbe che un simile sistema, così oscuro, incerto e contraddittorio, è come se fosse scritto in una lingua straniera al popolo. Riscontrerebbe la pericolosa tendenza a mantenere in vita, ovvero a proporre, leggi non armate, di cui lo Stato non è in grado, o non è interessato ad imporre l’ osservanza, e direbbe che in questi casi il legislatore insegue una falsa idea di utilità. Direbbe che le nostre leggi penali non assolvono ai loro obiettivi di prevenzione generale, fomentano l’impunità.

Infine riproporrebbe la sua battaglia in nome del popolo sovrano contro il particolarismo giuridico e contro leggi frutto del pregiudizio, dell’ ideologismo, della convenienza politica di caste privilegiate che hanno sostituito i loro interessi particolari al laicismo del diritto penale.

di Antonio Del Furbo

antonio.delfurbo@zonedombratv.it

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