Mario Draghi ha ricevuto il report sullo stato di salute della Rai e non è rimasto molto contento. Sconcertato per una situazione finanziaria sull’orlo del collasso e da un surplus di personale e di costi alle stelle.
Una Rai da risanare – si dice – mandando un manager esperto di conti e solida esperienza editoriale che il ministro del Tesoro designerà. Un’operazione prevista al più tardi il 12 luglio, data in cui l’assemblea degli azionisti è convocata per approvare il bilancio.
La selezione, affidata a una società di cacciatori di teste, è ormai conclusa.
Fra i nomi più accreditati spicca Laura Cioli, ex ad di Rcs e Gedi, che potrebbe essere affiancata – sulla poltrona fin qui occupata da Marcello Foa – dall’ex direttore (Tg3, Rai3, RaiNews) Antonio Di Bella. Ma c’è chi sostiene che a Palazzo Chigi non dispiacerebbe puntare su un amministratore delegato estraneo ai giochi di potere romani, in grado di tenersi le mani libere per imporre quella cura da cavallo di cui la Tv di Stato ha assoluto bisogno. Identikit che corrisponderebbe a due profili: quelli di Giorgio Stock, ex presidente di Warner Media, e di Matteo Maggiore, direttore Comunicazione della Bei, la banca europea degli investimenti da cui pure proviene il capo di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco, fedelissimo del premier. Il preferito sarebbe proprio Maggiore che avrebbe le carte in regola con un curriculum internazionale.
Il nome sarà svelato non appena il Parlamento avrà eletto i quattro componenti del cda di sua pertinenza.
Ma non si sa quando. La doppia seduta a voto segreto, prevista per domattina, è stata rinviata a data da destinarsi su richiesta del M5S, preda di fibrillazioni interne che impediscono di raggiungere un accordo con le altre forze politiche. Lega e FdI, con l’apporto di Fi, dovrebbero convergere sui due consiglieri uscenti: Igor De Biasio e Giampaolo Rossi. Il Nazareno sarebbe orientato su Francesca Bria, unica donna del gruppo sponsorizzata dal ministro Orlando. I grillini, divisi per bande, non hanno ancora scelto. Tre gli avvocati in campo: l’interno Rai Paolo Favale, l’amministrativista Antonio Palma e Luigi Di Majo, che però sarebbe penalizzato dalla quasi omonimia col ministro del Esteri. E siccome “nel Movimento non si sa con chi parlare” – mentre le intese infragruppo sono fondamentali – non è escluso che la partita finisca per ingarbugliarsi.
La cosa certa è che la Rai a trazione grillo-leghista, nata nell’estate 2018, è giunta al capolinea.
Anni costellati di insuccessi. L’ultimo risale a giovedì scorso, quando è stato ufficializzato l’acquisto da parte di Mediaset dei diritti sportivi per la Coppa Italia. Non accadeva da trent’anni. Peraltro dopo aver già perso – nel 2019 – la possibilità di trasmettere il torneo più prestigioso: la Champions League. E sempre a vantaggio del Biscione. L’ennesimo flop di una gestione che non ha mai brillato e moltiplicazione di contratti esterni a dispetto dei quasi 13mila dipendenti.
Sono i numeri a fotografare il declino.
Seppur chiuso in sostanziale pareggio grazie alla provvidenziale iniezione di liquidità disposta dal Mef a fine anno, il bilancio appena approvato registra una posizione finanziaria netta negativa per oltre mezzo miliardo, peggiorata di 303 milioni rispetto al 2017. I ricavi sono in caduta libera – meno 147 milioni – come la pubblicità (-45). E se i costi sono diminuiti lo si deve per lo più alla pandemia, che ha fatto slittare di un anno Olimpiadi ed Europei, producendo nel 2020 notevoli risparmi. Gli ascolti in caduta libera incalzati da una concorrenza sempre più agguerrita. Nell’ultimo triennio, l’audience nelle fasce più redditizie è in forte crescita sulle reti Mediaset, in lieve calo (-0,7) su quelle pubbliche. E non si prevede andrà meglio nel 2021, visto che a budget il risultato netto stimato è negativo per 57 milioni.