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La pioggia nel pineto universitario

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L’università Gabriele D’Annunzio a contatto con la natura incontaminata di Ermione

Chissà se la libera università di Chieti e Pescara quando fu riconosciuta tale, nel lontano 1965, pensava che 47 anni dopo potesse essere all’avanguardia nel metodo di svolgimento delle lezioni. Probabilmente, nel dedicare il nome al poeta abruzzese, qualcuno già intravedeva un futuro piuttosto “avanguardista” per la “free university”. Il principe di Montenevoso un po’ scrittore e un po’ fascista, un po’ guerrafondaio e un po’ giornalista, ma anche, purtroppo per lui, politico, fu sopratutto amante innamorato dell’amore e uomo trasgressivo. Per onorarne lo spirito antesignano il rettore Carmine Di Ilio ha sperimentato questa nuova tecnica di studio “versativa”. Come vedrete dal filmato che vi proponiamo, durante un temporale nella città teatina, la sede universitaria si è completamente allagata. Un modo sicuramente alternativo di apprezzare la poetica d’annunziana ed in particolare “La Pioggia nel pineto”, che noi, ritrascriviamo e dedichiamo al Rettore Carmine Di Ilio.

 

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude 
novella,
su la favola bella
che ieri
l’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione
Odi? La pioggia cade
su la solitaria 
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.

Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti 
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come un foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontane,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione. 
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude 
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

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