Arriva la commissione d’inchiesta per il sito inquinato di Bussi che sarà guidata da Giovanni Legnini, eletto presidente della commissione.
Un organismo nato proprio su proposta dell’ex vicepresidente del Csm supportato dal centrosinistra e da una larga maggioranza del Consiglio regionale d’Abruzzo.
Attività intensa d’inchiesta
“Si preannuncia un’attività intensa che avvieremo con l’acquisizione della documentazione, di per sé già imponente, dell’elencazione dei soggetti da audire e di un programma dei lavori da svolgere” dice Legnini. Obiettivo della Commissione d’inchiesta è quella di accertare cosa è accaduto nei 12 anni da quando la discarica fu scoperta. Il presidente aggiunge: “penso che dovremmo articolare i lavori innanzitutto per accertare gli ostacoli che si frappongono all’avvio dei lavori di bonifica, eventualmente indicando chi e come dovrà rimuoverli e poi per ricostruire nella sua interezza e in modo chiaro una vicenda gravissima e molto complessa che chiama in causa decisioni e responsabilità di molteplici istituzioni pubbliche e soggetti privati.”
Avvalersi della giustizia
“Ci avvarremo ovviamente delle pronunce giudiziarie e degli altri atti che già contengono l’accertamento dei fatti rilevanti per il lavoro della commissione d’inchiesta” aggiunge infine Legnini. “L’obiettivo ultimo dovrà essere quello di scrivere, con la relazione conclusiva, una pagina chiara, e mi auguro risolutiva, su una delle vicende più gravi che hanno riguardato l’ambiente e il territorio, il lavoro e il diritto alla salute degli abruzzesi”.
Una Commissione politica
Appare strano, intanto, che una Commissione (politica) abbia la presunzione di trovare una verità dove la magistratura una verità non l’ha ancora trovata. E il ricordo va a quel 19 dicembre del 2014 quando vennero assolti i 19 imputati dalla Corte d’assise di Chieti. Per il giudice Camillo Romandini nessuno di loro ebbero colpe riguardo al reato di avvelenamento delle acque. Nono solo. La Corte derubricò l’altro capo di imputazione, quello di disastro ambientale, in disastro colposo. Tutti gli imputati furono giudicati non colpevoli per sopraggiunta prescrizione. I due pm dell’accusa, Giuseppe Bellelli e Anna Rita Mantini, chiesero condanne per un totale di 20 anni e 6 mesi per un disastro che inquinò le falde acquifere del fiume Pescara.
La cena dei giudici
A febbraio 2017 il Fatto Quotidiano riferì di una cena a cui parteciparono il giudice Camillo Romandini, il giudice a latere, Paolo di Geronimo e altri giudici popolari. Nella cena si parlò “dell’eventualità di condannare per disastro ambientale doloso i 19 imputati, tutti ex dirigenti ed ex tecnici Montedison”.
La Corte d’Assise, tre giorni dopo, assolse in primo grado gli imputati (amministratori e dirigenti della Edison e funzionari addetti alla protezione ambientale) dal reato di avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione, derubricando quello di disastro ambientale a colposo.
Di anomalie parlò anche l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis, con una lettera inviata al Csm:
“Ho constatato gravi anomalie nel processo sul disastro ambientale a Bussi” scrisse l’avvocato. E aggiunse:
“Circolano 3 milioni di euro per la sentenza del processo Bussi. Me lo ha detto Luciano D’Alfonso”.
Le indagini della Procura di Campobasso
Alla pubblicazione degli articoli, fece seguito l’apertura di un fascicolo da parte della Procura di Campobasso: bisognava verificare se Romandini avesse esercitato indebite pressioni sulle giudici popolari. Il fascicolo venne archiviato. Ad essere ascoltato fu anche l’ex governatore della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso che non accennò mai alla vicenda dei tre milioni. E non si è mai appurato se D’Alfonso avesse partecipato o meno ad una cena con il giudice Romandini circa due mesi prima della sentenza di Bussi.
Legnini sapeva del processo
E sempre sulla sentenza di Bussi il Fatto rivelò che a sapere in anticipo come sarebbe finito il processo sarebbe stato anche Giovanni Legnini, allora vice presidente del Consiglio superiore della magistratura. Ma non solo lui. A sapere tutto anche Cristina Gerardis dell’avvocatura dello Stato e i pm Bellelli e Mantini.
Le 15 domande
Visto il polverone alzato dalla decisione di Romandini, il quotidiano Primadanoi rivolse alcune domande a tutti i protagonisti della vicenda. Ovviamente senza che nessuno si degnasse di una risposta. Compreso l’attuale presidente della Commissione d’inchiesta, Giovanni Legnini.
Pressione sui giudici popolari
1) Il malcontento di alcuni giudici popolari era già noto ad alcuno prima della sentenza?
2) Qual è la vera ragione per cui i giudici popolari non hanno denunciato le presunte “pressioni” del presidente Camillo Romandini?
3) Che ruolo ha svolto in questa vicenda l’allora avvocato dello Stato Cristina Gerardis e quando è venuta a conoscenza delle “pressioni” e del verdetto?
4) Che cosa ha fatto la Gerardis quando è venuta a conoscenza di notizie riservate del Collegio? Da chi ne è venuta a conoscenza e con chi ne ha parlato?
5) Ricordate il caso del primo giudice della Corte d’assise Geremia Spiniello? E’ stato ricusato in seguito a sue dichiarazioni i tv appena dopo la fine di una udienza del processo dicendo la frase (ambigua) «faremo giustizia per il territorio». Le domande allora sono: c’è qualcuno che può indicare una intervista televisiva di un qualsiasi giudice appena dopo l’udienza e nella stessa aula? L’inflessibile Spiniello prima di quella volta aveva rilasciato interviste simili?
La sentenza anticipata
6) D’Alfonso era a conoscenza della sentenza prima del 19 dicembre 2014 come ci risulta e come pubblicato da Il Fatto; chi informò D’Alfonso e a chi ne parlò il governatore?
7) D’Alfonso conosce il giudice Camillo Romandini? Lo ha incontrato tra il 2014 ed il 2015 e se sì per quali ragioni? Se sì hanno per caso parlato anche della sentenza di Bussi?
8) D’Alfonso ha mai informato la Gerardis del verdetto prima della sentenza?
9) D’Alfonso e Gerardis hanno poi informato altri esponenti istituzionali della notizia che loro sapevano essere certa e proveniente da fonte attendibile (e non semplici voci)?
10) I pm Giuseppe Bellelli e Anna Rita Mantini erano a conoscenza delle notizie riservate e se sì da chi sono stati informati? Se sono stati informati hanno aperto un fascicolo di indagine magari ancora segreto per la verifica delle informazioni?
11) Ipotizzando che la notizia di eventuali pressioni sui giudici popolari e di un verdetto già scritto era cosa nota, qualcuno pensò di informare anche il vice presidente del Csm Giovanni Legnini, la più alta autorità in materia e per di più di Chieti dunque conosciuto e conoscitore della realtà locale?
12) Che ruolo hanno svolto i vari avvocati delle parti civili e nello specifico della Solvay? Notizie di presunte irregolarità sono giunte fino a loro?
13) Che ruolo hanno svolto gli avvocati degli imputati della Montedison? Anche a loro la notizia è giunta in anticipo?
14) Ci risulta che esistono diverse “prove” che potrebbero raccontare vari spezzoni della storia in possesso di alcuni “attori” anche non protagonisti. A che cosa sono servite queste “prove” visto che non sono servite a denunciare possibili reati? Potrebbe esserci almeno in astratto la possibilità che tale materiale possa essere utilizzato in maniera impropria e divenire mezzo di “pressione” verso figure istituzionali?
15) Ammettendo pure che –come dicono molti- le anticipazioni del verdetto sono state giudicate “non attendibili” e “voci generiche” perché nessuno ha sentito il bisogno di denunciare il 20 dicembre, giorno dopo la sentenza, affinchè le autorità competenti accertassero la verità? Perché i politici che sanno continuano a tacere? Chi sta guadagnando da questa vicenda e chi ci sta perdendo?
Il consigliere regionale del Pd Antonio Blasioli “è molto felice”
“Sono molto felice che la Commissione sia partita. Un po’ di tempo si è perso, ma ci riuniremo questo mercoledì per iniziare il lavoro”. L‘ex vicesindaco di Pescara, Antonio Blasioli, spiega che s’impegnerà “mattina e sera in questa commissione” visto che già ha “parlato con il sottosegretario Morassut per dare il via alle bonifiche: la Commissione farà bene, lo so, e bisogna dare il via almeno ai 48 milioni messi da Legnini per le 2A/2B che sono solo una parte del necessario.”
Sarà pure che Blasioli non vede l’ora di iniziare ma, a quanto pare, in una sua diretta Facebook, non spiega bene come sia messa la vicenda di Bussi.
Nel video di autopromozione Blasioli parla di capping ma, ovviamente, solo di quello buono. Nasconde, forse volontariamente, quello rovinato. E sempre Blasioli omette di dire che le discariche sono del Comune e che esiste un problema di messa in sicurezza per via della mancanza del terzo lotto. Come se non bastasse, il buon consigliere regionale, non dice nemmeno che le aree ex pirite sono sempre del Comune e fuori dal progetto di bonifica che giace al ministero.