Non ho mai creduto a quelli che danno risposte piene del loro ego a domande vuote come le teste di chi le pone. In questo gruppo, con tutto il rispetto che non nutro per la categoria, metto giornalisti e opinionisti, ma soprattutto quelli che, per un tempo che li sta consumando più veloce di un fiammifero, estremizzano la battaglia politica a colpi di Like.
di Antonio Del Furbo
Ho attraversato quattro decenni, li ho visti nascere, crescere e morire. Quarant’anni che hanno portato grandi stravolgimenti, oltre che sociali e tecnologici, soprattutto culturali. Vengo dal tempo in cui ci si guardava negli occhi, ci si stringeva le mani e si facevano grandi cose. Avevamo, forse, qualche carta di credito in meno e qualche sogno umano in più. Ho cenato a Feste de l’Unità con mio padre e ascoltato Guccini e Bertoli. Oggi, in tutta sincerità, credo che di numeri si parli troppo. Ieri, forse, molto meno ma c’erano troppi pugni chiusi e un’esagerata voglia d’ideologizzazione del futuro. È, questo, il tempo dello spread, delle equazioni, degli algoritmi con cui pretendono di spiegarci chi siamo, dove andiamo, cosa dobbiamo fare.
Forse, una nuova politica dovrebbe ribaltare questo concetto e percorrere nuove strade. Dovrebbe riuscire a regalare una narrazione diversa, magari con un pizzico di speranza e spiegare, come un padre a un figlio, che la vita è anche qualcosa di più grande rispetto a freddi numeri. E dalle parti del Pd qualcosa si è cominciato a capire. Uno come Davide Serra che sale sul palco della Leopolda e dice che la sua vita è dare sollievo a persone che ne hanno bisogno non è cosa da poco. Serra, per chi non lo sapesse, non è uno dei tanti laureati all’università di Facebook. Serra è un “ragazzo” che si laurea alla Bocconi grazie ai risparmi dei genitori. Nel 1995, poco più che ventenne, si trasferisce a Londra, dove lavora per Ubs fino al 2000, prima di entrare alla banca d’affari Morgan Stanley, dove diventa direttore generale e coordinatore della ricerca globale sulla finanza. Insieme al francese Eric Halet, fonda la Algebris, società di gestione del risparmio. Serra guadagna 84 milioni di euro ma mantiene una missione di 8mila bambini in Tanzania attraverso le donazioni alla sua fondazione Hakuna Matata.
Forse è questo l’esempio di una nuova politica? Potrebbe.
“Non sono tifoso della Lazio” ha tenuto a precisare l’ex ministro dell’Economia Padoan. E poi ha aggiunto:“bisogna ridurre il deficit nominale al 2,1% nel 2019, all’1,8% nel 2020 e all’1,5% nel 2021”.
Poi:“l’abolizione totale dell’imposta di registro; la riapertura del progetto Casa Italia con uno stanziamento una tantum di 4 miliardi per finanziare le opere di salvaguardia nel settore idrogeologico e dell’edilizia scolastica; la cancellazione totale dell’Irap, che farebbe seguito alla cancellazione decisa dai governi del centrosinistra della componente relativa al costo del lavoro.”
Numeri che si mescolano a sorrisi, battute e pacche sulle spalle. E la gente ha apprezzato. Tutto esaurito. Uomini e donne in coda per entrare per centinaia di metri. Ben 8.500 iscritti e 4 mila partecipanti, il doppio delle edizioni precedenti. Un popolo che addirittura è partito con una standing ovation per Renzi. Un popolo che ho visto bene negli occhi, negli sguardi, passeggiando all’interno dell’ex stazione. Gente che, probabilmente, quella umanità la porta dentro, pronta a ripartire con il loro leader.
Quella gente che, forse, incontravo spesso alle Feste de L’Unità.
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