La documentazione è stata ritrovata dai militari del Gico della Guardia di Finanza nell’abitazione di Luca Palamara e, successivamente, quando hanno rovesciato i cassetti del suo ufficio nel Palazzo di Giustizia di Roma.
Come spiega Repubblica, le lettere erano redatte in corpo sedici e a lettere maiuscole e sottolineati dove necessario. Palamara conservava i “pizzini” di chi gli si raccomandava tra cui qualche bancarottiere, qualche evasore fiscale, qualche protestato.
Nel Procedimento penale n.41295/10 RGNR (Pm dott.ssa L.Cusano) si legge che “Abbiamo depositato appello per l’imputata (…) e per l’imputata (…) Né il pm, né le parti civili hanno proposto appello. Occorre ritardare il più possibile l’assegnazione del fascicolo alla sezione della Corte di Appello di Roma e, soprattutto, la fissazione dell’udienza d’appello”.
Un altro cliente chiede: “Con la sentenza di condanna il tribunale ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica per procedere nei confronti di (…): da controlli eseguiti a novembre il procedimento non risultava ancora iscritto. Occorre ritardare il più possibile l’iscrizione al procedimento e, soprattutto, l’adozione di qualsiasi iniziativa”.
Nessuno dei pizzini ha a che vedere con i processi in cui Luca Palamara è pubblico ministero. Chi chiede “l’aggiustamento” lo fa per processi che sono nelle mani di altri colleghi di Palamara. Un mercato, dunque, di aggiustamenti.
“Non ne ho fatto nulla di quelle segnalazioni”, dice Palamara ai magistrati che lo hanno interrogato.
E così, il pm Palamara di giorno si occupava “di casi umani” e di notte lavorava per la scalata alla procura di Roma.