La sera del 22 novembre 2004, in un vicolo appartato di Secondigliano, Napoli, il ritrovamento di una Fiat 600 incendiata svelò un crimine di indicibile ferocia.
Il sacrificio di Gelsomina Verde, l’innocenza spezzata dalla faida di Scampia. All’interno dell’auto, completamente carbonizzato, giaceva il corpo di una giovane donna. Grazie alla targa, gli investigatori identificarono il proprietario: il padre di Gelsomina Verde. La ragazza, appena 21enne, era la vittima di quell’orrore.
L’omicidio di Gelsomina fu uno dei momenti più brutali della prima faida di Scampia, un conflitto sanguinoso che segnò un’epoca e devastò intere famiglie. Fu un omicidio che non solo scuoteva la società civile, ma incrinava anche il muro d’omertà all’interno della camorra. Pietro Esposito, coinvolto nel sistema criminale, decise di collaborare con la giustizia dopo essere rimasto sconvolto dalla barbarie inflitta a una ragazza innocente.
La brutalità del delitto
Mina, come la chiamavano affettuosamente amici e parenti, fu sequestrata, torturata e uccisa con tre colpi di pistola alla testa. Il suo corpo fu dato alle fiamme, un tentativo non solo di occultare le prove delle sevizie, ma di cancellare ogni traccia di umanità. La colpa di Gelsomina? Avere avuto una relazione sentimentale, ormai conclusa, con Gennaro Notturno, esponente degli scissionisti. Una vendetta trasversale, crudele e insensata, orchestrata dal clan Di Lauro.
Le condanne e le nuove indagini
Per quell’omicidio furono condannati Pietro Esposito, che attirò Gelsomina in trappola, e Ugo De Lucia, ideatore del delitto e membro di uno dei gruppi di fuoco dei Di Lauro. De Lucia sta scontando un ergastolo. Tuttavia, la sete di giustizia non si è fermata. Nel maggio 2023, le indagini riaperte nel 2020 hanno portato all’arresto di Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, alias “’o vichingo”, identificati come gli esecutori materiali. De Lucia è stato catturato a Massa Carrara, dove si trovava già agli arresti domiciliari, mentre Rinaldi è stato rintracciato nella sua abitazione a Castel Volturno.
Una vita spezzata, un simbolo di resistenza
Gelsomina Verde non apparteneva al mondo della camorra. Operaia in una pelletteria e volontaria nel tempo libero, Mina rappresentava la parte migliore di un quartiere che lotta contro la criminalità organizzata. La sua uccisione, assieme a quella di Annalisa Durante, vittima innocente a soli 14 anni, scosse profondamente l’opinione pubblica. Nel maggio 2023, la Corte Costituzionale ha finalmente riconosciuto Gelsomina come vittima innocente di camorra, un atto tardivo ma significativo per onorare la sua memoria.
La scia di sangue della faida
La morte di Gelsomina non segnò la fine della violenza. Pochi giorni dopo, il 6 dicembre 2004, Dario Scherillo, un giovane di 26 anni, fu ucciso per errore in un caso di scambio di persona. Anche Attilio Romanò, 29 anni, perse la vita il 24 gennaio 2005: i killer, entrati in un negozio di telefonia, lo scambiarono per il parente di un boss rivale.
La guerra tra il clan Di Lauro e gli scissionisti, che si protrasse tra il 2004 e il 2005, lasciò dietro di sé oltre 60 morti. Gli inquirenti definirono quella faida una delle più brutali mai viste dai tempi della guerra degli anni Ottanta tra la Nco di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia. Una ferocia che, purtroppo, avrebbe continuato a colpire vittime innocenti anche nelle successive faide di Scampia.
Un’eredità di dolore e speranza
Gelsomina Verde è diventata un simbolo, una ferita ancora aperta che ricorda al mondo le atrocità della camorra. Ma la sua storia è anche un invito a non arrendersi, a credere che la giustizia possa trionfare, anche quando sembra impossibile.