Un patto siglato tra politica e criminalità organizzata. Un lido balneare al centro di giochi di potere, favori elettorali e minacce. E, sullo sfondo, l’ennesimo intreccio perverso tra istituzioni e malaffare.
Il patto del Lido Kennedy: Franco Alfieri ai domiciliari, accuse di mafia e vendette esplosive. All’alba di oggi, la Direzione Investigativa Antimafia di Salerno ha fatto scattare un maxi blitz tra Campania, Umbria e Abruzzo: dieci le persone arrestate con accuse gravissime, tra cui scambio elettorale politico-mafioso, tentato omicidio, estorsione aggravata dal metodo mafioso, traffico d’armi e favoreggiamento.
Tra i volti noti finiti nella rete della DDA c’è anche Franco Alfieri, ex sindaco di Capaccio Paestum ed ex capo della segreteria del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Per lui sono scattati i domiciliari. A Torchiara, suo paese natale, nessuno sembra stupirsi. Troppi i segnali ignorati, troppi i silenzi.
La seconda caduta di Alfieri
Non è la prima volta che il nome di Alfieri finisce tra le carte bollate. Solo poche settimane fa si era dimesso da sindaco e da presidente della Provincia di Salerno, travolto da un’altra inchiesta per corruzione e turbativa d’asta. Ma oggi la storia è ben più pesante. Perché questa volta si parla di mafia. Quella vera, che promette e minaccia, che stringe patti e prepara attentati.
Al centro dell’inchiesta, una vicenda già raccontata nel 2019 in un’inchiesta esclusiva de Il Fatto Quotidiano: il caso del Lido Kennedy, struttura balneare a Capaccio Paestum finita nel mirino delle autorità per irregolarità e oggetto di un patto elettorale tra Alfieri e Roberto Squecco, imprenditore delle pompe funebri e condannato in via definitiva per associazione mafiosa, ritenuto vicino al clan Marandino.
Il patto: una poltrona per salvare il lido
Lo scambio sarebbe avvenuto nel 2019. In cambio del supporto elettorale, Alfieri avrebbe favorito la candidatura della moglie di Squecco, Stefania Nobili, inserendola nelle sue liste. La Nobili non solo venne eletta, ma fu anche la più votata. Il patto, secondo la DDA, fu suggellato da una scena surreale: la notte della vittoria, le ambulanze di Squecco sfrecciarono per via Magna Graecia con le sirene spiegate, in una sorta di grottesco carosello mafioso.
Ma quel “patto” aveva un prezzo. La protezione politica del lido Kennedy, struttura che andava abbattuta per ragioni di sicurezza e che, invece, sarebbe rimasta nella disponibilità dell’imprenditore.
La rottura, le minacce e l’attentato mancato
Quando Alfieri, ormai sindaco, si trova costretto ad avviare le pratiche di abbattimento del lido — dichiarato pericolante dopo una mareggiata — il patto si rompe. Da quel momento Squecco avrebbe deciso di passare alle maniere forti. Secondo gli inquirenti, avrebbe minacciato il sindaco usando due dipendenti comunali: il vigile urbano Antonio Bernardi (oggi in carcere) e l’impiegato ai servizi cimiteriali Michele Pecora (ai domiciliari). Entrambi, ritenuti vicini all’imprenditore, avrebbero trasmesso le intimidazioni tramite un’assessora comunale dimissionaria, Mariarosaria Picariello.
Non finisce qui. Una volta abbattuto il lido e restituita l’area alla collettività, Squecco avrebbe progettato un attentato dinamitardo contro Alfieri. Un’azione studiata nei dettagli, con tanto di sopralluoghi e mappe. A incaricarsi dell’operazione tre persone di Baronissi, oggi in carcere perché trovate in possesso di armi da guerra, tra cui un kalashnikov e un Uzi.
L’attentato, per fortuna, non è stato mai realizzato, forse per disaccordi economici tra le parti. Ma resta lo spaccato inquietante di un sistema dove il confine tra Stato e criminalità è diventato sempre più sottile.
Ai domiciliari anche l’ex assessora
Ai domiciliari è finita anche Mariarosaria Picariello, accusata di aver mentito all’autorità giudiziaria per proteggere Squecco e ostacolare le indagini. Un tassello in più in un mosaico in cui politica, mafia e pubblica amministrazionesembrano aver giocato la stessa partita, per gli stessi interessi.
Un sistema (in)visibile
La vicenda Alfieri non è solo cronaca giudiziaria. È la fotografia nitida di un sistema consolidato, dove il consenso si compra, si baratta, si impone. Dove le istituzioni diventano terminali di accordi indicibili. Dove chi denuncia, spesso, viene isolato, ignorato, o messo a tacere.
E mentre si attendono gli sviluppi giudiziari, una cosa è certa: il silenzio non è più un’opzione.
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