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Speranza vide il piano segreto anti-covid mentre rassicurava l’Italia

Speranza vide il piano segreto anti-covid mentre rassicurava l'Italia

Il ministro Speranza a marzo era a conoscenza del piano segreto anti-covid. Perché, dunque, con quei numeri rassicurava gli italiani?

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Esisteva il piano segreto anti-covid? Il governo, e soprattutto il ministro della Salute Roberto Speranza, non ha mai risposto alla domanda.

Fatto sta che che il direttore generale del Ministero della Salute, Andrea Urbani, dopo averne parlato su tutti i giornali, fa marcia indietro smentendo di averlo mai scritto.

Intanto manca solo una settimana all’udienza del Tar del Lazio che dovrà decidere se “condannare” (o meno) il ministero della Salute a rendere noto il “piano”.

Il governo che non sapeva del Piano nazionale anti-covid

Ad aprile scorso Urbani, direttore della Programmazione al ministero e membro del Cts, rilascia un’intervista al Corriere dove per smentire “vuoti decisionali” nella prima ondata rivela che “già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito”. Rivelazioni che provocano un putiferio. Un documento che il ministro Speranza lo derubrica a banale “studio”; il dicastero lo spaccia per l’analisi realizzata dal ricercatore Stefano Merler; e quasi nessuno ci capisce nulla. Chiamato di fronte al Tar.

IlGiornale.it, con dei documenti esclusivi, ricostruisce nel dettaglio la nascita, la crescita e l’inconsistente difesa del ministero della Salute.

A fine gennaio Roberto Speranza annuncia la nascita di una task force ministeriale. Il covid non desta nessuna preoccupazione in Italia. Alla riunione partecipano i vertici del ministero, i carabinieri del Nas, esponenti dello Spallanzani, l’Umsaf, l’Aifa, l’Agenas e pure un consigliere diplomatico. Durante i lavori della task force emerge

“la necessità di elaborare, a cura della direzione Programmazione del ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’INMI Spallanzani, uno studio sui possibili scenari dell’epidemia e dell’impatto sul Sistema sanitario nazionale, identificando una serie di eventuali azioni da attivare in relazione allo sviluppo degli scenari epidemici, al fine di contenerne gli effetti”.

Un’analisi che viene presentata al Comitato tecnico scientifico il 12 febbraio per poi essere “successivamente aggiornata fino al 4 marzo”. Un “lavoro di studio” che avrebbe contribuito “alla definizione delle misure e dei provvedimenti adottati a partire dal 21 febbraio, dopo la scoperta dei primi focolai italiani”.

I fatti corrispondono

Il Libro nero del coronavirus riferisce che il 12 febbraio infatti Merler presenta al Cts le sue analisi contenute nel dossier dal titolo Scenari di diffusione di 2019-nCov in Italia e impatto sul sistema sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente. In quello stesso giorno il Cts dà mandato a un gruppo di lavoro interno di “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov”.

Il dossier viene citato nei verbali altre volte: il 24 febbraio, il 2 marzo, il 4 e il 9 marzo. È lo stesso Cts a chiedere la massima riservatezza. Il ministero ritiene che il “piano secretato” citato da Urbani sia lo studio di Merler e che “detto documento non è un piano pandemico approvato con atto formale del ministero della Salute né un atto elaborato da una P.a., né è detenuto dal ministero”.

Però lo studio di Merler e il “piano segreto” sono due cose distinte.

Nella relazione di Merler del 12 febbraio non si parlava di “piano” bensì di soli numeri. Dunque, solo della parte “epidemiologica” di un lavoro ben più complesso. Quello realizzato dalla squadra del Cts invece è un’altra cosa perché all’interno vi sono una serie di azioni da intraprendere in base ai vari scenari ipotizzati.

Nonostante il ministero dice di non aver nulla a che fare con il “piano” realizzato dal Cts in realtà del gruppo fanno parte, tra gli altri, anche l’Iss, Urbani con tutti i suoi collaboratori, il delegato delle Regioni Alberto Zoli e un esponente dello Spallanzani.

Poi il Cts cita il “piano” nei verbali il 24 febbraio, scrivendo che deve essere “ancora completato”. Però è tardi: il contagio ha già raggiunto la Lombardia e Dpi, respiratori e stock vari mancano come l’aria. Il plico comunque il 1° marzo arriva sulle scrivanie degli esperti. “Chiunque lo abbia tenuto in mano, sia come bozza che nella verisione finale, è chiamato a rispettare un patto di riservatezza” spiega Il Giornale. Forse perché lì dentro ci sono numeri che raccontano altro rispetto alle rassicurazioni di Speranza.

Sarebbe sufficiente pubblicare sul sito del ministero quel plico che i membri del Cts ancora conservano nella busta chiusa. Anche la procura di Bergamo ha indagato sulla questione. Perché, dopo aver lanciato il sasso, il ministero e il Cts sollevano così tanto fumo per nascondere la mano?

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