L’inchiesta sulle “toghe sporche” assume contorni molto preoccupanti, a tratti drammatici.Dentro il fascicolo aperto ieri e che ha portato agli arresti, tra gli altri, di due magistrati, ci finiscono anche uomini legati alla massoneria, ai servizi segreti deviati e alla Gladio.
di Antonio del Furbo
E, come se non bastasse, dentro ci sono persino minacce di morte a chi tenta, seppure tra mille difficoltà, di fare luce su questo intreccio di malaffare. A parlarne l’imprenditore di Corato (Bari) Flavio D’Introno in una lunga confessione fatta agli inquirenti. Ricostruzioni che fanno luce sugli intrecci del presunto sistema di corruzione nel tribunale di Trani e inchiodano il magistrato Michele Nardi.
“Disse che se io parlo allora mi doveva far ammazzareda questi dei servizi segreti, tanto lui a Lecce era molto potente, conosceva gip, capo procura, conosceva tutti, disse: ‘Tu sei un morto che cammina se parli’, disse”. Queste le parole di D’Introno riportate dal Fatto. Il testimone riferisceri dello “stillicidio” durante gli interrogatori, perché Nardi ci andava giù pesante quando lui non era disponibile: “Quando faccio vedere la tua foto – gli avrebbe detto – faccio uscire a uno e viene qua… io ho i contatti con i servizi segreti. Ho sentito ‘Inzerrillo‘ disse su un altro procedimento penale della struttura Gladio”. Sempre D’Introno aggiunge:“Nardi mi ha minacciato di morte dicendosi capace di fare del male sia alla dottoressa Licci (la pm, ndr) che a me che al luogotenente Santoniccolo per il tramite dei servizi segreti deviati”. Così Flavio D’Introno s’è deciso a parlare.
Le sue dichiarazioni vengono corroborate dalle registrazioni fatte con uno smartphone a partire dall’autunno scorso. Savasta negli incontri con l’imprenditore tradisce preoccupazioni: lo invita a non dire nulla di loro e gli promette 50mila euro per fuggire alle Seychelles. Savasta e Nardi cercano di comprare il silenzio dell’imprenditore. Il 18 novembre 2018, Savasta consegna a D’Introno i primi 1.800 euro a titolo di anticipo, perché “diciamo tu ti rendi conto che dovremmo vergognarci di vivere per quello che uscirà fuori di merda”, gli spiega l’ex pm.
Secondo la ricostruzione fatta dal pm Roberta Licci e dal procuratore di Lecce Leonardo Leone De Castris: “Nardi è colui che stabilisce le regole organizzative dell’associazione e la ripartizione dei profitti”, “crea i contatti, acquisisce informazioni”; Savasta, “in virtù delle sue funzioni presso la Procura di Trani, concretamente ha il potere di intervenire ed agisce attivando le più disparate iniziative giudiziarie”; Vincenzo Di Chiaro, ispettore presso il commissariato di Corato, “ha il compito di predisporre false relazioni di servizio e comunicazioni di reato, tutte puntualmente ‘canalizzate’ in modo tale da farle pervenire direttamente a Savasta” ed è il collegamento tra quest’ultimo e D’Introno; Simona Cuomo, nella sua veste di avvocato, “fornisce copertura giuridica alle iniziative concordate”, costruendo anche false denunce. Questa architettura ha prodotto un “asservimento” della funzione giudiziaria rendendo l’intera vicenda “ancora più squallida” in quanto i due magistrati, scrive il gip, “offrono all’imprenditore D’Introno” l’opportuità di “risolvere i suoi guai giudiziari”.
Dalle carte si evince che i due magistrati hanno tenuto rapporti diretti anche con altri imprenditori: Nardi “pretendeva il 10 per cento su tutte le questioni trattate da altri magistrati grazie alla sua intercessione”. “Nardi – stando a quanto riferito da D’Introno – aveva il tabulato dei turni dei magistrati di Trani ed era in grado di segnalarmi i giorni precisi per fare in modo che le denunce da me presentate andassero direttamente nella competenza di Savasta”. Nardi tornava nella sua città ogni fine settimana e “ogni dieci, quindici giorni io gli consegnavo soldi in contanti, 1000, 2000, 1500”, rivela l’imprenditore. In circa dieci anni Nardi avrebbe preteso, come prezzo della mediazione,
- un viaggio a Dubai da 10mila euro;
- la ristrutturazione di un immobile a Roma per 120mila euro e di una villa a Trani per 600mila;
- diverse somme in contanti;
- un Rolex d’oro dal valore di 34mila euro;
- due diamanti da 27mila euro ciascuno.
Non contento Nardi propone investimenti nella capitale:
- due appartamenti in Piazza di Spagna, finiti in una indagine per bancarotta fraudolenta che lui sta seguendo;
- chiede due milioni di euro, somme che giustifica come necessarie per corrompere altri giudici ad una settimana dalla definizione del processo Fenerator in cui l’imprenditore è imputato per usura. D’Introno, però, non ha più soldi. E da quel procedimento giudiziario, anche in appello, ne esce con una condanna.
Nardi comincia a fargli paura perché vanta amicizie potenti e la capacità di influenzare gli ambienti giudiziari. Infatti il magistrato viene a sapere del procedimento a suo carico a Lecce grazie ad una talpa nel palazzo di giustizia salentino. È a conoscenza addirittura della richiesta di custodia cautelare in carcere e tenta, dunque, la carta dell’inquinamento probatorio. Spiega D’Introno:
“In sostanza lui mi diceva di riferire volutamente durante i contatti telefonici delle circostanze non aderenti alla realtà, per creare delle prove a suo favore che gli servivano per depistare le nostre indagini di cui lui era sempre a conoscenza. In questo modo si garantiva l’impunità o meglio una imputazione più blanda, di cui era stato già rassicurato da sue fonti interne alla Procura di Lecce”.
Su ordine di Nardi e con la collaborazione dell’ispettore Di Chiaro, Savasta avrebbe cercato di pilotare i processi di primo e secondo grado in cui era imputato D’Introno. Lo avrebbe fatto, in cambio di complessivi 300mila euro. Secondo gli inquirenti lo avrebbe fatto attivando procedimenti penali a carico di parti offese e testimoni. Al poliziotto il compito di creare l’input, depositando annotazioni di polizia giudiziaria e informative di reato attestanti false circostanze e supportate da false dichiarazioni rese da due uomini di D’Introno. Tutto con l’obiettivo di minare l’attendibilità delle prove d’accusa a carico di quest’ultimo.