C’è chi un incarico non ce l’ha e chi, invece, ne prende più di uno. È il caso, ad esempio, di Claudia Mazzola, capo ufficio stampa della Rai.
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Mazzola è stata nominata dal sindaco grillino di Roma, Virginia Raggi, a presidente della Fondazione ‘Musica per Roma’, che gestisce l’Auditorium della Capitale. Una questione non propriamente chiara che lascia anche qualche dubbio dal punto di vista legale.
“C’è materia per la Corte dei Conti per danno erariale, se davvero la Rai intendesse consentire il doppio incarico” sottolinea Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva, che ha chiesto le dimissioni della Mazzola. Per Anzaldi è infatti “evidente” che il doppio incarico della Mazzola “sia totalmente incompatibile. Se non arriveranno nelle prossime ore le dimissioni, presenterò un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale e un esposto all’Anac per verificare se sia rispettato il Piano Anticorruzione”.
Ed è proprio il segretario della Vigilanza Rai a ricordare come fu proprio la tv pubblica, rispondendo ad una sua interrogazione sull’incarico alla società esterna Mn Italia per gestire l’ufficio stampa di Sanremo (incarico poi revocato) a scrivere che “l’ufficio stampa interno conta su risorse ritenute molto esigue per la mole di lavoro da sostenere, tanto che è inevitabile stipulare contratti anche con società esterne.
Ecco cosa scriveva la Rai il 26 novembre 2019 nella risposta in commissione di Vigilanza:
‘Giova segnalare che presso l’ufficio stampa Rai, al 25 novembre 2019, lavorano 15 giornalisti. Con tale organico l’ufficio stampa segue oltre ottanta trasmissioni. Undici canali tv e dodici canali radio, oltre alle attività corporate. Inoltre si contano, nel 2018, 10.000 comunicati stampa e 160 conferenze da aggiungere alla gestione del sito e dell’account twitter.
È pertanto pressoché ineludibile, e in tutte le passate gestioni dell’Azienda vi si è fatto ricorso, l’ausilio di strutture esterne altamente specializzate, che insieme all’ufficio stampa contribuiscono alla comunicazione dei contenuti dell’Azienda’”.
Se le risorse interne dell’ufficio stampa Rai non bastano a seguire tutto, tanto da dover ricorrere all’ausilio di società esterne, “come è pensabile – si chiede Anzaldi – che il capo ufficio stampa si occupi anche di un’istituzione impegnativa come l’Auditorium di Roma? A capo ufficio stampa della Rai serve un giornalista impegnato a tempo pieno”, chiosa Anzaldi.
La promozione
Dopo l’abbuffata di direttori di reti e di testate, che M5S e Lega si sono spartiti con geometrica precisione dopo mesi di stallo e di tensione, tra Natale e capodanno 2018, il M5S nominò la Mazzola all’ufficio stampa Rai. E proprio la Mazzola era, già all’epoca, una vecchia conoscenza. Fu pescata in una terna il 22 dicembre dall’ad Fabrizio Salini, a sua volta voluto dal vicepremier Di Maio.
Classe 1971, la cronista del Tg1 ha seguito fin dagli esordi il Movimento. A giugno dello stesso anno la Mazzola manda il suo curriculum sia alla Camera sia al Senato. Obiettivo: farsi eleggere in cda. Finisce, guarda caso, insieme ad altri 4 candidati fra le centinaia in corsa, nella rosa ristretta dei nomi graditi ai 5S da votare sulla piattaforma Rousseau. Ma va male. Ed è costretta a ripiegare.
Il primo ottobre passa alla Direzione Comunicazione guidata da Giovanni Parapini come responsabile del think tank per le relazioni esterne e istituzionali. E lì guadagna la sua prima promozione: caposervizio con relativo aumento di stipendio. Neanche tre mesi dopo, il nuovo gallone che vale una carriera: capo ufficio stampa Rai in qualità di caporedattore al doppio di quanto guadagnato da cronista. Una carriera fulminante che tuttavia Parapini, chiamato in Rai dall’ex dg Campo Dall’Orto, smentisce sia per meriti politici: “È brava, conosce tre lingue, sono stato io a segnalarla a Salini, ma nessuno mi ha fatto pressioni”.
“Da redattore ordinario ha fatto 3 scatti in 3 mesi come neanche ai tempi della Rai di Berlusconi”, tuonava, già all’epoca, il deputato dem Michele Anzaldi. “È un insulto a dipendenti e dirigenti in attesa di promozione per meriti professionali e non per lottizzazione politica”.
E’ passata sotto silenzio una NOTIZIA STRAORDINARIAMENTE BELLA…Nella foto che vedete c’è l’equipe delle ricercatrici e ricercatori dell’Istituto De Bellis di Castellana, in Puglia che potrebbero farci evitare la chemio.Una svolta importante per le terapie oncologiche che promette di rivoluzionare le cure per diverse tipologie di tumori tra cui cancri al seno, colon, ovaio e pancreas, la ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista di settore iScience. Dopo solo otto mesi di ricerca (il progetto è quinquennale), questa eqipe dell’Istituto De Bellis di Castellana Grotta ha scoperto come bloccare una proteina riparatrice del Dna in modo da uccidere le cellule malate, ciò potrebbe portare ad eliminare la chemio, a favore di meno invasive terapie farmacologiche mirate per neutralizzare solo le cellule tumorali, evitando la distruzione a tappeto di cellule sane e malate indotte dalla chemioterapia.La ricerca, guidata dal professor Cristiano Simone e sostenuta dalla Fondazione Airc in collaborazione con NIH statunitense e con i gruppi Airc di Roma, Bologna e Milano, ha scoperto in laboratorio il ruolo chiave di un gene che produce una delle proteine addette alla riparazione del nostro Dna, bloccando questo gene in modo mirato, le cellule tumorali non riescono a riparare il proprio DNA e muoiono.Il gene si chiama SMYD3, ed è noto da parecchi anni, ma nessuno fino ad ora ne aveva capito la funzione, cioè di riparare le cellule, sia quelle sane che quelle tumorali. Una volta creati dei farmaci questa terapia potrà essere applicata in fasce non indifferenti di tumore: nel 15% dei casi di tumore al seno, 15% dei casi di tumore alle ovaie, 11% dei casi di tumori al colon e 10% dei casi di tumore al pancreas.
Di pochi giorni fa inoltre questa, ancora più recente: l’Irccs de Bellis di Castellana ha scoperto una terza forma di poliposi. Si tratta di un tipo di patologia che aggredisce lo stomaco più che il colon, a cui invece si riconducevano le uniche due note finora
Dopo due anni di lavoro l’equipe guidata dal professor Cristiano Simone fa luce per la prima volta al mondo su una variazione del gene che guida la costruzione dell’apparato gastroenterico.
GRAZIE
Grazie grazie
Doriana Goracci