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Il Decreto legge del 23 febbraio che ha dato “pieni poteri” a Giuseppe Conte

Il Decreto legge del 23 febbraio che ha dato "pieni poteri" a Giuseppe Conte
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Sono oltre 100mila le denunce per violazioni delle restrizioni domiciliari imposte dal decreto coronavirus. A non aver rispettato le regole è stato il 5% della popolazione, più del numero degli infetti. Il tema, ora, è quello di capire se la leva dell’incostituzionalità del sistema è valida. E pare proprio che a regolamentare la vicenda possa intervenire la Corte costituzionale.

Il tema ha, però, anche un risvolto politico visto che, pezzi della maggioranza (Iv di Renzi) e tutta l’opposizione si strappano le vesti intorno alla questione “pieni poteri” del premier. Peccato che a firmare un Decreto legge che autorizzasse Conte a emanare continui Dpcm, sono stati anche loro.

Un decreto che limita la libertà 

Le restrizioni alla libertà di movimento dei cittadini sono state imposte da un Dpcm, ossia un decreto del presidente del Consiglio. Può essere limitata la libertà personale da un Dpcm? L’articolo 16 della Costituzione fissa autorizza le leggi a dare questo limite e non, dunque, a un Dpcm.

In questo caso un Dpcm, che si trova nella parte bassa del sistema di regole giuridiche, non può derogare a una norma di rango superiore. In sostanza, un Decreto ministeriale non può modificare, abrogare o derogare una legge.  

Sempre l’articolo 16, nello specifico, riserva alla legge la possibilità di limitare gli spostamenti. Mentre il Dpcm, essendo un atto amministrativo, serve solo per dare attuazione a norme già varate dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri.

Ed è per questo motivo che i Dpcm di Conte avrebbero violato la Costituzione. Due le ragioni: la prima perché non avrebbero mai potuto imporre regole diverse dalla Costituzione; la seconda è che solo una legge può limitare gli spostamenti.

Le sanzioni penali

L’annullamento dei procedimenti penali avviati in questo periodo fa riferimento all’articolo 25 della Costituzione secondo cui nessuno può essere punito penalmente se la pena non è prevista da una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Il Dpcm rinvia a una norma del Codice penale l’articolo 650 il quale punisce con carcere o ammenda chiunque non osserva un provvedimento dell’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene.

Le sanzioni, però, potrebbero essere illegittime perché il fatto è qualificato da una norma di carattere amministrativo e non legislativo. Il Dpcm è un semplice regolamento e non una legge. Come tale, viola l’articolo 16 della Costituzione e non può disporre limitazioni alla libertà di movimento dei cittadini.  

Corte Costituzionale e sanatoria

A questo punto la Corte Costituzionale  potrebbe intervenire per dichiarare illegittime le norme per poi decidere per una sanatoria. La Consulta, però, giudica solo la legittimità delle leggi e non dei regolamenti come appunto il Dpcm. Ciò significa, in pratica, che ogni cittadini dovrà, con un avvocato, fare opposizione alle sanzioni penali.  

Il Decreto Legge del 23 febbraio che dà “pieni poteri” a Conte

Pochi sanno che quando quando il Parlamento era ancora in funzione, è stato votato e deliberato un decreto legge: il DL 23 febbraio n.6 (quello che istituiva la zona rossa). Proprio nel Decreto legge si autorizza il Dpcm ad adottare tutte le limitazioni che potranno essere opportune per risolvere la crisi sanitaria. Nello stesso Decreto legge viene anche richiamata un’altra norma, l’articolo 117 del decreto legislativo n. 112 del 1998 ove si legge che: “In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle Regioni in ragione della dimensione dell’emergenza”. 

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