Uno studio cinese avrebbe confermato la possibilità che il coronavirus Covid-19 (o Sars-CoV-2), avesse mutato dando origine a due ceppi distinti. La ricerca scientifica, pubblicata su National Science Review, aveva stabilito che il patogeno aveva mutato in un ceppo L e in un ceppo S.
Il primo ceppo è quello più ricorrente, col 70% dei casi, il secondo è quello più aggressivo e dalla più rapida diffusione (elevata trasmissibilità).
Lo studio spiega che l’intervento dell’uomo nelle prime fasi dello scoppio dell’epidemia nella provincia cinese di Hubei ha imposto una selezione artificiale dei virus. In sostanza ha contenuto maggiormente la diffusione del ceppo più aggressivo. Il virus di tipo S, è possibile che sia risultato più frequente nella casistica proprio a causa delle sue caratteristiche di minore aggressività.
Le Figaro riferisce, però, che la comunità scientifica non è affatto concorde col risultato dei ricercatori cinesi: “Non solo questo studio presenta degli errori tecnici, ma in più arriva a delle conclusioni che sono largamente esagerate. Gli autori non dispongono di nessun elemento per dire che uno dei due ceppi sia più pericoloso dell’altro, e nemmeno che si tratti di due linee virali distinte” ha detto Étienne Simon-Lorière responsabile del Laboratorio di Genomica Evolutiva dei Virus a Rna dell’Istituto Pasteur.
“Le mutazioni che questi ricercatori hanno identificato non sono il riflesso di un’evoluzione del virus, ma delle modificazioni minori senza effetti osservati che sono stati sovraintrepretati” ha confermato il professor Bruno Lina responsabile del Centro Nazionale di Riferimento per i Virus Respiratori di Lione.
Per i francesi la ricerca cinese si basa su troppo pochi campioni: solo 103 sequenze genetiche.
I virus sono in continua evoluzione. Se il cambiamento non altera la capacità replicative del virus, si potrà trasmettere alla progenie virale e stabilizzare nella popolazione. Mutazioni che sono raramente vantaggiose: molto più spesso sono letali, deleterie o indifferenti per il virus. “I virus a Rna, come i coronavirus di cui Covid-19 fa parte, hanno una frequenza di mutazioni molto alta e persino i virus più semplici generano moltissime mutazioni” spiega Insideover.
Le mutazioni ci sono perché, durante il processo di replicazione del virus, avvengono dei piccoli “errori di ricopiatura” del codice genetico virale. “Contrariamente a numerosi altri virus” spiega Étienne Decroly specialista in virologia molecolare e direttore del settore ricerca presso il Cnrs (Centre National de la Recherche Scientifique) “i coronavirus hanno la particolarità di avere un sistema di riparazione di questi errori. Il loro genoma è talmente lungo che il ‘controllo di qualità’ non funziona sempre. In media una copia si becca una piccola mutazione scappata al sistema di vigilanza”.
Malgrado questo, precisa il ricercatore, “il rischio che una mutazione dia luogo a un cambiamento delle caratteristiche del virus è estremamente basso. Nel 99,99% dei casi queste mutazioni non cambiano nulla, e si parla quindi di mutazioni silenziose”.
Poche volte avvengono delle radicali mutazioni che non conducono verso una forma virale più pericolosa.
Il virus non distrugge il suo ospite, anzi. Spesso le malattie sono una conseguenza, non voluta dal patogeno, che deriva da come ha risolto i suoi tre problemi esistenziali ovvero riproduzione, trasmissione ed evasione dalla cellula infetta.
Sia l’ospite sia il virus tendono a un vantaggio riproduttivo: l’ospite sviluppa difese, il virus subisce continue modifiche. La selezione naturale, come già detto, favorisce quei virus con scarso potere patogeno e infatti molte infezioni virali sono asintomatiche. La capacità di causare una malattia, di Covid-19 è comunque non indifferente, anche se la sua virulenza, come abbiamo avuto modo di dire in un altro articolo dove abbiamo smentito che si tratti di un’arma batteriologica, è relativamente bassa.