Il 21 febbraio 2022, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin firma un decreto che riconosce le due regioni separatiste pro-Mosca nell’Ucraina orientale del Donetsk e del Luhansk. E ordina alle forze armate russe di entrare nei territori per adempire a ciò che egli stesso definisce una “funzione di mantenimento della pace”.
Così, nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, la Russia entra in Ucraina dalla Crimea, dalla Bielorussia, dal Mare d’Azov e dalle neonate e autoproclamate repubbliche indipendenti del Donbass, riconosciute dal presidente Putin giusto pochi giorni prima.
L’Ucraina rappresenta una spina nel fianco di Putin: già nell’agosto del 2014 l’esercito russo sconfinò in territorio ucraino dando così il via ad un conflitto di espansione territoriale. All’origine del conflitto fu il controllo delle risorse energetiche presenti in Crimea, regione sotto la sovranità ucraina. Nonostante sia abitata da una popolazione non russa, l’Ucraina è stata sottoposta per anni al dominio di Mosca dichiarando la propria indipendenza nell’agosto 1991, superando le differenze fra il Sud (la Crimea) e il resto del paese. Il problema è sorto quando l’Ucraina ha manifestato il suo interesse a candidarsi per diventare membro della UE. In quella circostanza la minoranza russa presente in Crimea ha iniziato una ribellione appoggiata dalla Russia di Putin. La tensione si è estesa anche nelle relazioni con l’Occidente, europeo e americano, e la Russia è stata accusata di violare la sovranità dell’Ucraina.
I rapporti tra la Russia e l’Ucraina: breve excursus storico
RUS’ DI KIEV: Tutto cominciò nel momento in cui i Variaghi, nome con il quale si identificano le popolazioni provenienti dai territori scandinavi di Danimarca, Norvegia e Svezia che migrarono dalla penisola scandinava, situata nell’estremo nord-orientale d’Europa, verso sud-est, fondarono la Rus’ di Kiev. La Rus’ di Kiev è un’entità monarchica degli Slavi orientali, popolazione indoeuropea, sorta verso la fine del IX secolo nei territori dell’attuale Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia orientali.
Per secoli fu la capitale Kiev il cuore del mondo slavo orientale con la sua lingua e la sua cultura distintiva, ma il declino della Rus’ come Stato unitario provocò il sorgere di altri centri di potere locale che erano, a tutti gli effetti, simili a stati indipendenti. Fu il caso del Granducato di Mosca, uno dei maggiori principati russi del Medioevo e dell’inizio dell’Età Moderna, che espandendosi prevalse sugli altri principati Slavi orientali inglobandoli.
È in questa fase che si può porre l’embrione del processo di differenziazione che porterà alla nascita delle tre etnie slave orientali odierne: ucraini nella parte sud–occidentale, bielorussi nel nord-ovest e russi nel nord-est. La localizzazione geografica portò i primi due gruppi ad avere, nei secoli successivi, profondi contatti con lituani e polacchi, che mancarono invece del tutto ai grandi russi; questi ultimi ebbero invece relazioni di una certa intensità e durata con popoli asiatici.
Trattato di Perjaslav
Fu il Trattato di Perjaslav del 1654 a sancire l’unione di Russia e Ucraina, allora in mano ai cosacchi, sotto il dominio dello zar di Mosca. I cosacchi, antica comunità militare dell’Europa orientale di provenienza ucraina, costituivano una forza difficile da controllare: nel 1620 si stava affermando l’idea dell’istituzione di uno stato cosacco; ma nel 1638, la Polonia tentò di inglobare all’interno della sua struttura militare alcuni gruppi di cosacchi a essa fedeli cercando in questo modo di smantellare le istituzioni tradizionali dei cosacchi.
È in questo contesto che la Russia offrì il suo sostegno e la sua protezione ai cosacchi, aprendo la strada alla guerra russo-polacca (1654-1667) che avrebbe portato a un indebolimento irreversibile della nazione polacco-lituana. Il trattato produsse un risultato molto diverso da quello previsto: originariamente progettato solo per garantire il sostegno militare del potere russo, infatti, segnò la separazione dell’Ucraina dalla Polonia e rafforzò la potenza russa. La Russia esercitò da allora, con pugno di ferro, il controllo sul territorio ucraino per oltre quattro secoli, contrastando lingua, cultura locale e spinte indipendentiste.
Il crollo dell’Urss
La repressione aumentò in epoca sovietica. Nel 1954, il segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica trasferì la Crimea, che dal 1441 al 1783 fu la terza potenza che si contendeva l’area, dalla Russia all’Ucraina, come parte dell’Unione Sovietica. Quando, alla fine del 1991, l’Unione Sovietica implose, Mosca perse quattordici delle repubbliche che fino ad allora avevano fatto parte della sua sfera di influenza e della neonata Federazione Russa.
L’Ucraina fu senza dubbio la perdita più dolorosa. Nel referendum sull’indipendenza dell’Ucraina del 1991, il popolo ucraino espresse un ampio consenso per l’Atto di Dichiarazione d’indipendenza, con più del 90% di voti favorevoli e l’affluenza dell’82% (Paul Robert Magocsi, A History of Ukraine: The Land and Its Peoples, University of Toronto Press, 2010). Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha fatto spesso riferimento al passato per sostenere che l’Ucraina è inscindibilmente legata alla Russia. Presso il World Trade Center di Mosca, il 30 giugno 2021, in un intervento in più lingue sul sito ufficiale del Cremlino, Putin ha ribadito che russi e ucraini sono un unico popolo che condivide “un solo spazio storico e spirituale”, posizione che Kiev ha prontamente smentito:
“Durante la recente Linea diretta mi è stata posta una domanda sulle relazioni russo-ucraine alla quale ho risposto dicendo che russi e ucraini sono un popolo solo – un tutt’uno. Le mie parole non erano motivate da considerazioni di breve termine e neppure dall’attuale contesto geopolitico. Ho affermato le stesse cose in molte altre occasioni, sono fermamente convinto di quello che ho detto. Avverto dunque la necessità di spiegare più dettagliatamente la mia posizione e chiarire cosa penso di quanto sta accadendo. Voglio innanzitutto sottolineare che a mio avviso il muro sorto negli ultimi anni tra Russia e Ucraina, tra due componenti dello stesso spazio storico e spirituale, è la nostra più grande sventura, la nostra più grande disgrazia. Conseguenza in primo luogo dei nostri errori, ma anche delle iniziative di coloro che hanno sempre cercato di minare la nostra unità.”
Le radici dell’attuale crisi tra la Russia e l’Ucraina
2014: Con la presidenza di Viktor Yanukovych, politico ucraino naturalizzato russo (eletto nel 2010 ma in precedenza primo ministro), il Paese vira decisamente verso la Russia. Questo spostamento dell’asse politico si palesa nel 2013 con il rifiuto, da parte di Yanukovych, di firmare l’accordo di associazione e libero scambio con l’Unione Europea. L’Ucraina, ufficialmente indipendente dall’Unione sovietica dal 24 agosto 1991, guarda verso l’Unione Europea, mentre la Russia tenta in tutti i modi di tenerla sotto la propria sfera di influenza politica ed economica.
Nel centro di Kiev, precisamente in piazza Maidan, scoppiarono violente proteste: decine di migliaia di ucraini scesero in strada chiedendo le dimissioni di Yanukovych – considerato il principale responsabile della grave crisi economica in atto – e scatenando una durissima repressione da parte delle forze governative. E fu così che tutto ebbe inizio quel fatidico 20 febbraio 2014 con il massacro di piazza Maidan a Kiev e lo scatenarsi della cosiddetta “rivoluzione arancione”, un fenomeno appoggiato apertamente dall’ambasciata americana e dagli alleati europei che portò alla deposizione del presidente Yanukovych.
Le proteste durarono tre mesi e dilagarono in tutto il Paese, raggiungendo l’apice nel momento in cui decine di manifestanti vennero uccisi dalle forze speciali. Yanukovych, messo in stato d’accusa dal Parlamento ucraino, scappò a Mosca, aprendo una nuova fase di instabilità.
Di lì a poco migliaia di soldati russi si riversarono in Crimea, dove il governo locale dichiarava la volontà di separarsi da Kiev chiamando la popolazione a un referendum sull’adesione alla Federazione Russa. Il territorio della Crimea appartiene di diritto all’Ucraina, ma dopo l’ingresso delle truppe russe nel 2014 la penisola è stata annessa dalla Federazione Russa a seguito del referendum del 16 marzo questo referendum è stato definito illegale da ONU, Unione europea, Stati Uniti d’America e dalla stessa Ucraina.
I separatisti filo-russi presero il controllo delle aree industriali di Donetsk e Luhansk, nella regione del Donbass, dichiarandole indipendenti da Kiev. Seguirono mesi di pesanti combattimenti che causarono circa quattromila morti. Gli scontri cessarono in settembre, con l’accordo di pace firmato a Minsk da Russia e Ucraina, ma la crisi è rimasta latente e ha inasprito le relazioni tra Mosca e l’Occidente. Mentre la Russia ribadiva l’illegittimità del governo di Kiev e denunciava i bombardamenti contro i civili nella parte russofona del Paese, la comunità internazionale e le organizzazioni umanitarie condannavano l’intervento militare della Russia accusandola di aver fomentato le rivolte violando la sovranità del popolo ucraino.
2022: verso il conflitto
IL DISCORSO DEL PRESIDENTE BIDEN: Il 18 febbraio, dopo una conference call con gli alleati, il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, ha parlato dalla Casa Bianca. Il commander in chief sta tenendo aperta la via del negoziato diplomatico sulla sicurezza europea e giocando l’unica altra carta a disposizione: l’unità con gli europei e la minaccia di sanzioni rapide e severe in caso di invasione. Qui di seguito è riportato il discorso del presidente Biden.
“(…) ma resta il fatto che le truppe russe hanno circondato l’Ucraina dalla Bielorussia al Mar Nero a sud, tutto il suo confine. Abbiamo motivo di credere che le forze russe stiano pianificando e intendano attaccare l’Ucraina nella prossima settimana. Crediamo che prenderanno di mira la capitale dell’Ucraina, una città di 2,8 milioni di innocenti. Stiamo denunciando i piani della Russia non perché vogliamo un conflitto, ma perché facciamo tutto ciò che è in nostro potere per rimuovere la spiegazione che la Russia potrebbe fornire. Se la Russia perseguirà questo piano sarà responsabile di una guerra catastrofica e inutile. Gli Stati Uniti e i nostri alleati sono pronti a difendere ogni centimetro del territorio della NATO, anche da qualsiasi minaccia alla nostra sicurezza collettiva. Inoltre, non invieremo truppe a combattere in Ucraina, ma continueremo a sostenere il popolo ucraino.
L’anno scorso gli Stati Uniti hanno fornito una quantità record di assistenza alla sicurezza all’Ucraina per rafforzare la difesa di 650 milioni di dollari dai missili Javelin alle munizioni, 500 milioni di dollari in precedenza in aiuti umanitari e sostegno economico all’Ucraina. All’inizio di questa settimana abbiamo anche annunciato un’ulteriore garanzia di prestito sovrano fino a 1 miliardo di dollari per rafforzare la resilienza economica.
La conclusione è questa. Gli Stati Uniti e i nostri alleati e partner sosterranno il popolo ucraino. Riterremo la Russia responsabile delle sue azioni. L’Occidente è unito e deciso. Siamo pronti a imporre severe sanzioni alla Russia, se dovesse invadere ulteriormente l’Ucraina. Ma ripeto, la Russia può ancora scegliere la diplomazia. Non è troppo tardi per tornare al tavolo delle trattative. Ieri sera, la Russia ha concordato che il segretario di Stato Blinkerren e il ministro degli Esteri dovrebbero incontrarsi il 24 febbraio. Sia chiaro, hanno sbattuto la porta alla diplomazia, hanno scelto la guerra e pagheranno a caro prezzo non solo le sanzioni che noi e i nostri alleati imporremo alla Russia, ma con la maggiore indignazione del resto del mondo. (…) La Russia ha una scelta tra guerra e sofferenza o diplomazia, che renderà un futuro più sicuro per tutti.”
Mobilitazione generale a Donetsk e Lugansk
Il 19 febbraio, il capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, ha annunciato la mobilitazione generale. “Mi rivolgo ai miei concittadini che sono nella riserva perché si presentino ai rispettivi distretti militari. Oggi ho firmato un decreto per la mobilitazione generale”. Nelle autoproclamate repubbliche indipendenti filorusse di Donetsk e Lugansk è cominciata l’evacuazione temporanea dei cittadini in Russia, nella regione di Rostov. Pushilin sostiene che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ordinerà ai militari di lanciare un’offensiva nel Donbass. Anche il leader dell’autoproclamata repubblica filorussa di Lugansk, nel Donbass, poco dopo il suo omologo di Donetsk, ha proclamato la “mobilitazione generale” sul suo territorio. Il leader, Leonid Pasechnik, lo ha stabilito – fa sapere la Tass – con un decreto comunicato online. Almeno 25mila civili hanno già lasciato l’autoproclamata repubblica popolare di Luhansk e altre 10mila sarebbero in partenza. Lo dice il ministro per le emergenze dell’autoproclamata repubblica Yevgeny Katsavalov.
La risposta di Antonov
Di pronta risposta al presidente Biden, l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, il 20 febbraio 2022, ha negato che il Cremlino si stia preparando per un’invasione della vicina Ucraina. Le affermazioni dell’ambasciatore secondo cui la Russia non intende invadere l’Ucraina arrivano, però, quando il presidente russo Vladimir Putin ha ammassato circa 150.000 soldati, aerei da guerra e attrezzature estendendo le esercitazioni militari nei confini settentrionali dell’Ucraina. Alla domanda sul perché non si sia ancora verificato un incontro tra Putin e il presidente dell’Ucraina Zelensky – dato che la Russia afferma di essere interessata alla diplomazia – Antonov ha esitato e ha continuato ad affermare che la Russia – nonostante l’accumulo di forze ed equipaggiamenti militari intorno all’Ucraina – “non minaccia nessuno” e che ha “il diritto legittimo di avere le sue truppe stanziate dove vuole sul suo territorio”.
“Non stiamo minacciando nessuno. Non stiamo minacciando gli Stati Uniti. Nemmeno l’Ucraina. È molto facile risolvere questa crisi (…) se si convince Kiev a sedersi al tavolo dei negoziati non ci saranno combattimenti, ci sarà la pace, non ci saranno vittime. È così facile”.
Mosca, ha detto Antonov, è preoccupata per le armi e l’assistenza alla sicurezza che gli Stati Uniti e gli alleati hanno fornito all’Ucraina. Ha ribadito che la Russia è contraria a un’espansione della NATO e vuole che gli Stati Uniti ritirino truppe e armi dai paesi vicini. Come abbiamo avuto modo di leggere nel discorso del presidente degli Stati Uniti d’America riportato sopra, l’amministrazione Biden ha continuato ad affermare che la diplomazia rimane una possibilità. Il presidente ha anche sottolineato che nessuna forza americana entrerebbe in Ucraina se la Russia invadesse, ma ha avvertito che ci sarebbero pesanti conseguenze per la Russia sotto forma di sanzioni. (Intervista Antonov 20 febbraio 2022).
Dichiarazione di indipendenza delle Repubbliche del Donbass
Il 21 febbraio 2022, presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha firmato in diretta televisiva, dopo un discorso alla nazione, il decreto con cui la Russia riconosce l’indipendenza dall’Ucraina delle repubbliche separatiste del Donbass. Nel discorso televisivo alla nazione Putin ha detto:
“La situazione in Donbass è diventata critica, acuta (…) l’Ucraina è stata creata da Lenin, è stato il suo creatore e il suo architetto. Lenin aveva un interesse particolare anche per il Donbass (…) L’Ucraina non è un Paese confinante, ma parte integrante della nostra storia, cultura, spazio spirituale, sono nostri compagni, spesso gli ucraini stessi si considerano parte della Russia, siamo uniti da sempre (…) L’Ucraina è governata da “potenze straniere”, da oligarchi che hanno cercato di dividerla dalla Russia.
“In Ucraina le armi occidentali sono arrivate con un flusso continuo, ci sono esercitazioni militari regolari nell’ovest dell’Ucraina, l’obiettivo è colpire la Russia. Le truppe della Nato stanno prendendo parte a queste esercitazioni, almeno 10 sono in corso, e i contingenti Nato in Ucraina potrebbero crescere rapidamente. I sistemi di comando delle truppe ucraine sono già integrati con la Nato e l’Alleanza ha iniziato a sfruttare il territorio ucraino con infrastrutture missilistiche (…)”.
Al termine del suo lungo discorso, Putin ha firmato il decreto di riconoscimento delle due repubbliche separatiste dell’Est ucraino, Donetsk e Lugansk. Il primo provvedimento che il presidente degli Stati Uniti d’America Biden firmerà è “un decreto che vieterà nuovi investimenti, commercio e finanziamenti da parte statunitensi verso, da o nelle cosiddette repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk dell’Ucraina”.
Operazione militare speciale nel Donbass
Il 24 febbraio il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha annunciato che le forze russe non hanno in programma di occupare l’Ucraina. Tuttavia, la Russia si difenderà, se sarà l’unica opzione a disposizione, ha osservato il presidente. Il presidente ha, quindi, ordinato alle forze armate di condurre un’operazione speciale nella regione del Donbass. L’obiettivo dell’operazione militare speciale della Federazione Russa è la denazificazione dell’Ucraina. Il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov, ha affermato che l’obiettivo è quello di ripulire il Paese dai nazisti.
“Nella migliore delle ipotesi, sarebbe necessario liberare l’Ucraina, ripulirla dai nazisti, dalle persone con un sentimento ideologico nazista”, ha affermato Peskov ai giornalisti, non specificando, però, se il presidente ucraino Vladimir Zelensky sia considerato come “persona con sentimenti nazisti”. Il 25 febbraio, il presidente Putin ha informato in dettaglio il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping sui motivi della decisione di riconoscere le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk.
“Il presidente della Russia ha informato in dettaglio il presidente della Repubblica Popolare Cinese riguardo ai motivi della decisione di riconoscere la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk e di condurre un’operazione militare speciale volta a proteggere la popolazione civile dal genocidio, nonché per assicurare la smilitarizzazione e la denazificazione dello Stato ucraino”.
Qui di seguito è riportata la traduzione integrale del discorso con cui Putin ha annunciato l’operazione in Ucraina.
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Le sanzioni previste per la Russia
Per la prima volta le sanzioni interessano direttamente il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Secondo l’Unione Europea le sanzioni decise a fine febbraio 2022 colpiranno circa il 70% del settore finanziario russo. Ursula von der Leyen, presidentessa della Commissione UE, spiega che il pacchetto delle sanzioni avrà un impatto decisivo sull’economia russa e si basa su cinque pilastri: il settore finanziario, energetico, i trasporti, i controlli sulle esportazioni e la politica dei visti – la Casa Bianca e il Regno Unito appoggiano tali provvedimenti. La causa di tali sanzioni è da ricercarsi nelle azioni da parte del governo russo che minacciano l’integrità territoriale, la sovranità, l’indipendenza, la stabilità e la sicurezza dell’Ucraina. Ad essere colpiti dalle sanzioni sono anche i 351 membri della Duma russa che hanno votato per il riconoscimento delle Repubbliche popolari di Luganks e di Donetsk.
Per quanto riguarda l’Italia, il presidente del consiglio Mario Draghi ha dichiarato a Vladimir Zelensky che Roma appoggia la linea europea sulle sanzioni contro la Federazione Russa, incluso lo scollegamento della Russia dal sistema di trasferimento bancario internazionale SWIFT. L’ex premier italiano Romano Prodi, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha affermato che le sanzioni imposte alla Russia avranno delle conseguenze negative rilevanti sul piano economico non solo europeo ma mondiale. Se tale situazione prosegue, la ripresa o si ferma o rallenta seriamente ed è anche possibile un’accelerazione dell’inflazione.
“In Europa, per essere esatti, colpirebbero soprattutto l’Italia e la Germania perché sono le economie che esportano più beni strumentali alla Russia”.
di Noemi Moretti
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