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Lo stato, alla fine, ce l’ha fatto. Ha vinto la sua battaglia contro una donna che come arma ha la sua umanità.

Antonio Del Furbo

La 95enne terremotata, dunque, non ce l’ha fatta e ha perso la sua battaglia. Docile, indifesa, con qualche piccolo acciacco, ha dovuto subire, ancora una volta, l’umiliazione di uno Stato che, come sempre accade, fa la voce grossa con i più deboli. 

Ed è il caso, appunto, di Giuseppa Fattori costretta a lasciare la sua casetta in legno abusiva a San Martino di Fiastra (Macerata) per via dello scatto dell’esecuzione del sequestro. Peppina ha deciso di stabilirsi nel vicino container, un termosifone elettrico a riscaldare l’ambiente rifiutando di andare dalla figlia a Castelfidardo. 

“Questa di oggi non è un’offesa a mia madre – dice la figlia Gabriella Turchetti, piangendo – ma un’offesa all’umanità intera”

Peppina lo ha ribadito:“voglio morire a San Martino, accanto alla mia casa inagibile, dove ho vissuto per oltre 70 anni”. E ha aggiunto:“È uno schifo. È proprio uno schifo. Sono una persona molto religiosa e prego per loro. Ma so’ stati tanto cattivi con me. Bestie. Proprio bestie”.

Peppina vivrà in un container di 2 metri per 5, privo di bagno. Un residuato del terremoto del 1997. Appena appresa la notizia i suoi occhi si sono persi nel vuoto, gonfi di lacrime:“mi hanno fatto tanto male”.

Nella sua casetta di legno, sicura, calda e accogliente, costruita dalle sue figlie con tutti i criteri antisismici, non potrà più accedere. Le figlie, non essendo riuscite a portarla via dal borgo di San Martino di Fiastra (Macerata), dal suo orto e dalla vista della casa inagibile dopo il terremoto di un anno fa, avevano costruito su un loro terreno edificabile, a spese proprie, un piccolo chalet. Se da una parte nessuno si è occupato della sua casa colpita dal terremoto e in parte da demolire, dall’altra Procura e Tribunale del Riesame si sono mossi in tempi record per sfrattarla e sequestrargli l’immobile. E tutto per un cavillo legato alla mancanza dell’autorizzazione paesaggistica nella zona che è nel Parco dei Sibillini. Un problema, tra l’altro, già sorto in altri terremoti e superato con una norma che concede di costruire casette da rimuovere “contestualmente” alla consegna della casa ricostruita. Ma nel caso di Peppina, a quanto pare, la legge è stata interpretata.

“È un’offesa a lei e a tutta l’umanità, costringere una persona di quell’età in una prigione di 10 metri quadri, costretta a uscire per andare in bagno montato da noi all’esterno, dove di notte, fra poco, sarà il gelo”, aggiunge ancora la figlia. “Noi volevamo fare le cose fatte bene. Mia madre è una persona buona e onesta. Ha un grande coraggio, ma teme la neve. Quest’inverno l’abbiamo portata via, ma era depressa, piangeva. Il container è pericoloso per la sua salute. Ma la sua casa non si può ancora ricostruire. Finché non provvedono con la microzonazione sara impossibile presentare qualsiasi progetto. A giugno abbiamo comprato questa casetta per mille euro al metro quadro, a fronte dei 1.500-2.000 che sono costati i container. Abbiamo inviato al genio civile la documentazione antisismica. Non sapevamo del vincolo paesaggistico: un codicillo che suona paradossale in una zona ancora distrutta. Ma eravamo pronti a rimediare. Solo che servono 7 mesi. Non faremo proteste stravaganti. Ma possibile che in un “tempo di guerra” non si possa fare un’autorizzazione a termine? Mia madre ci contava. Tutti a dire “stiamo con Peppina”. E lei si fidava. Ora è arrabbiata”

Nei giorni scorsi Peppina aveva lasciato la casetta in attesa della decisione del giudice riguardo il sequestro della struttura disposto dalla Procura di Macerata in attesa del riesame. A salutare Peppina un centinaio di persone, tra cui comitati dei terremotati, gente comune, ma anche esponenti di Forza Nuova e il capogruppo della Lega nord alla Regione Marche Sandro Zaffiri. Sul posto erano presenti addirittura una ventina di agenti, tra polizia e carabinieri.

 

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