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Per il Tribunale del riesame di Milano, dunque, hanno scarcerato l’uomo per “assenza di gravi indizi”.

Buba C., gambiano 31enne finito in cella a San Vittore il 27 giugno dopo il giudizio per direttissima, ora è libero. Eppure Buba era già noto alle cronache perché pusher recidivo e, soprattutto, particolarmente operoso in una delle zone al momento più calde dello spaccio milanese.

Secondo il Giornale il 31enne è stato preso la seconda volta in quattro giorni e sorpreso a vendere ecstasy in via dei Transiti, periferia nord della città.

Il curriculum dell’uomo però non finisce qui. Buba è stato beccato anche il 23 gennaio e arrestato il 19 novembre 2016. Respinto dalla Svizzera come clandestino e fotosegnalato per la prima volta in Italia due anni fa a Como, con precedenti penali per spaccio, “vanta” altre due denunce tra quest’anno e il 2017 rispettivamente per falsa attestazione sull’identità personale e per ricettazione.

Ma il bello (diciamo così) della storia viene dalle motivazioni scritte dai giudici del Riesame di Milano che, a qunto pare, giustificano il gambiano che farebbe lo spacciatore perché, scrivono, non avendo

“(…) alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi”.

Ovviamente la storia non finisce qui. I giudici del Tribunale del riesame si superano e ammettono che ci sia

“un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati, tenuto conto dei precedenti specifici, l’ultimo dei quali risale a pochi giorni prima dell’arresto”.

Dunque, così concludono:

“Posto che il reato è stato commesso a Milano” e che le impronte sono tutte relative “a fatti commessi in questa città, va applicato il divieto di dimora nei territori del Comune di Milano, onde ad allontanare il ricorrente dal contesto territoriale in cui ha operato”.  

L’apoteosi arriva con la giustificazione che i giudici forniscono per aver accolto il ricorso della difesa:

anche se in direttissima si è deciso che Buba C. doveva andare in carcere, il tribunale ordinario a loro parere avrebbe ragionato in maniera errata. “Il dato ponderale” (cioè le 5 pastiglie di ecstasy, ndr) per i magistrati – è molto contenuto”.

Insomma, anche se una pasticca può condurre alla morte, per i magistrati l’effetto è contenuto.  

“I limiti di pena previsti dall’articolo 73, comma 5 della legge 309 del 1990 (che parla proprio di reati di lieve entità, ndr) non consentono la custodia cautelare in carcere” scrivono i giudici.

Ma cosa rischiano a fare la vita polizia e carabinieri se poi abbiamo questi giudici?

 

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3293526266

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