Tornano ad accendersi le luci sul Gran Sasso per via di una sostanza, il trimetilbenzene, ch torna a minacciare per l’ennesima volta la popolazione teramana.
Il trimetilbenzene apparì per la prima volta nel 2002 con uno sversamento nel corso d’acqua probabilmente provocato dai laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). A rischio, oggi, tornano a essere proprio quei 700mila cittadini che usufruiscono dell’acqua del Gran Sasso.
L’allarme
Secondo le carte diffuse da Augusto De Sanctis, a capo dell’associazione ambientalista Mobilitazione Acqua del Gran Sasso, lo sversamento questa volta sarebbe avvenuto nell’acqua messa a scarico (100 lt/s) nei pressi dei laboratori, quindi non in un corso d’acqua direttamente e nemmeno nella rete idrica, bensì a terra. Il pericolo è, dunque, nella possibilità che il trimetilbenzene si disperda nelle falde acquifere per di più del Parco. “È una contaminazioni limitata ma come sappiamo possono accadere fatti ben più gravi, come nel 2002 con la fuoriuscita di decine di litri di 1,2,4 trimetilbenzene” spiega De Sanctis.
La vicenda
Nelle acque in uscita dai laboratori del Gran Sasso a febbraio 2019 l’ARTA ha riscontrato la presenza di 1,2,4 trimetilbenzene, la stessa sostanza usata nell’esperimento Borexino in sala C, ed esano, un solvente in generale tossico e pericoloso per gli ambienti acquatici.
L’agenzia regionale ha trovato l’esano in due campioni raccolti l’11 febbraio 2019 nel punto di campionamento GS-S30 “Laboratorio INFN” (campione 494 con concentrazione 6,99 microgrammi/litro) e, più a valle, nel punto GS-S4 “Imbocco nord galleria autostradale” (campione 492, concentrazione 1,42 microgrammi/litro). L’1,2,4 trimetilbenzene è stato trovato quattro giorni dopo, il 15/02/2019, nel campione 555 raccolto nel punto GS-S30 “Laboratorio INFN” (concentrazione 0,3 microgrammi/litro). Si tratta di acqua non utilizzata per scopi idropotabili che però va ad alimentare i corsi d’acqua del Parco nazionale del Gran Sasso.
ASL e Procura
“Ricordiamo che attualmente quasi 100 litri al secondo precedentemente captati per l’acquedotto del teramano nella zona dei laboratori sono mandati a scarico” spiega il Movimento “dopo gli interventi di ASL e Procura. Quest’ultima l’anno scorso ha ritenuto di dover sequestrare la sola rete acquedottistica sotto al pavimento dei laboratori”. Si tratta di capire, quindi, se altri contaminanti siano stati riscontrati nei mesi successivi. “Su questo aspetto chiediamo massima trasparenza, assicurando una completa e pro-attiva informazione ai cittadini. Inoltre sarebbe interessante avere una spiegazione sul come queste sostanze abbiano raggiunto l’acqua” spiega De Sanctis.
Divieto di stoccaggio
L’Art. 94 vieta lo stoccaggio di sostanze pericolose vicino alle acque usate per scopi potabili e obbligano all’allontanamento immediato di quelle esistenti (come del caso delle 1.292 tonnellate di 1,2,4 trimetilbenzene usate in Borexino e 1.000 tonnellate di acqua ragia usate in LVD). “È inquietante che gli stessi solleciti della regione, ente competente per il rispetto della norma in questione, scivolino via senza che accada nulla. Arrivando, poi, alla vera e propria beffa per i cittadini, quella di far mettere a scarico ben 100 litri al secondo di preziosissima acqua invece di attuare semplicemente gli obblighi di legge.”
La moral suasion
“Constatiamo -conclude De Sanctis- come neanche quella che appare come una “moral suasion” della procura stia dando i suoi frutti, visto che la Regione il 25 gennaio 2019 aveva dato tre mesi all’INFN per consegnare almeno i progetti per l’allontanamento e siamo a fine ottobre, nove mesi dopo, e sul sito della Valutazione di Incidenza Ambientale della Regione non appare alcunché. Resta poi tutta la questione della messa in sicurezza dei tunnel autostradali, altra vicenda su cui bisognerebbe fare chiarezza, a partire dal rispetto del D.lgs.264/2006 sugli standard di sicurezza fissati dalle normative comunitarie sulle gallerie, con il termine per l’adeguamento scaduto inutilmente il 30 aprile 2019.”
Il fallimento del sistema
“Sul Gran Sasso sto leggendo atti che voi umani…ormai siamo al fallimento conclamato di sistema” aggiunge De Sanctis. “Soggetti -prosegue- che ancora oggi sostengono che è tutto impermeabile (ma allora perché scomodare il parlamento e chiamare un commissario straordinario, il secondo poi in meno di 20 anni?). Che non servono le autorizzazioni del Parco nazionale (in zona 1 del Parco), quando un povero proprietario di un terreno deve chiedere il nulla osta pure per muovere una pagliuzza. E così via. Cose stratosferiche per non ammettere quello che è evidente a tutti.”
L’INFN: “Nessuna anomalia”
“I Laboratori Nazionali del Gran Sasso escludono che sia riconducibile ai Laboratori la presenza di tracce di contaminanti nelle acque del traforo” spiega l’Infn in una nota stampa. “La strumentazione di monitoraggio in continua, altamente sensibile, non ha rilevato alcuna anomalia; inoltre l’esano non è una sostanza utilizzata nei Laboratori. Si fa anche notare che i contaminanti cui fanno riferimento gli organi di informazione (esano e trimetilbenzene), sono comuni componenti dei combustibili per autotrazione e che i punti di campionamento sono esterni ai Laboratori.”
Il “Rasoio di Occam”
Seppur la risposta dell’Infn arriva a stretto giro, alcuni dubbi rimangono. I Laboratori, dunque, escludono che la presenza di 1,2,4 trimetilbenzene ed esano nelle acque scaricate nei fiumi del Parco del Gran Sasso riscontrata a febbraio da ARTA sia riconducibile alla loro attività in quanto:
- il punto di campionamento sarebbe all’esterno delle aree di loro competenza;
- non userebbero l’esano;
- i loro strumenti di rilevamento non avrebbero captato nulla;
- queste sostanze sono anche nei combustibili per autotrazione.
Il Movimento sottolinea che:
- il punto di campionamento è definito nei referti 555 e 494, non da noi ma da ARTA stessa che li ha prodotti, “GS30 – Laboratorio INFN”;
- il diclorometano non doveva essere usato nei laboratori sotterranei ma solo in quelli esterni eppure fu trovato nel 2016 nelle acque, con tanto di ammissione del direttore dei laboratori circa la responsabilità nel trasporto all’interno delle sale sotterranee e nella dispersione;
- proprio quando avvenne la dispersione del diclorometano i sensori dei laboratori non lo captarono in quanto in manutenzione, come ammesso nella relazione del direttore Ragazzi;
- l’n-esano compare almeno nell’elenco delle sostanze usate dai laboratori inviato alla ASL il 10/01/2017. Pertanto almeno fino a quella data era usato nei laboratori sotterranei;
- l’1,2,4 trimetilbenzene è presente proprio nei laboratori sotterranei con ben 1.292 (milleduecentonovantadue) tonnellate;
- rispetto ai combustibili, è noto che dopo una contaminazione proveniente dalla loro combustione o dispersione nelle matrici ambientali si rinviene di solito un lungo elenco di sostanze, a partire, a mero titolo di esempio, dall’altro isomero del trimetilbenzene, l’1,3,5 trimetilbenzene.
“In questo caso, invece, nel referto 555 compare esclusivamente l’1,2,4 trimetilbenzene. Nei referti 492 e 494, relativi all’11 febbraio, quattro giorni prima, compare invece esclusivamente l’altra sostanza, l’esano. Quindi nei tre campioni non ci sono mai sostanze associate ma sempre contaminazioni di singole molecole. Insomma, non c’è quel mix di sostanze tipico delle contaminazioni da combustibili”.
De Sanctis auspica “che anche i Laboratori applichino, fermo restando la massima libertà nell’interpretare la realtà, quel principio, molto noto in ambito scientifico, chiamato “Rasoio di Occam” (che suggerisce di scegliere ai fini della risoluzione di un problema quella più semplice tra più ipotesi possibili).”
Gran Sasso e Autostrade
Un bacino idrico inquinato che “oggi rifornisce oltre 700mila persone”. Una sintesi che venne fuori a maggio scorso alla fine dei lavori presso il Ministero delle Infrastrutture. Un tavolo a cui partecipò, tra gli altri, l’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso e che riferì in Senato sulle condizioni dell’acquifero che coinvolge una vasta area del centro Italia. Si parlò proprio di quei tratti di gallerie autostradali dove insistono i laboratori sotterranei dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare che mettono a rischio uno dei più importanti bacini idrici all’interno di un parco nazionale.
L’inchiesta della Procura di Teramo
La questione è relativa all’inchiesta della procura di Teramo sul rischio di inquinamento delle falde acquifere del Gran Sasso aperta dopo uno sversamento avvenuto nel 2002 di materiali tossici fuoriusciti dall’Istituto nazionale di fisica nucleare, i cui laboratori si trovano nel cuore della montagna e sono a stretto contatto con tunnel e il sistema di veicolazione delle acque montane. Pochi anni fa, fra il 2016 e il 2017, fu imposta la chiusura dei rubinetti nell’area proprio a causa di una rilevata presenza di toulene nelle acque.
La chiusura dei tratti dell’A24
Per la chiusura di quei tratti per un totale di 10 km, l’Osservatorio – promosso da Wwf, Legambiente, Mountain Wilderness, Arci, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia – Gadit, Fiab, Cai e Italia Nostra illustrò i dati relativi allo stato di salute delle acque che riforniscono le province di L’Aquila, Teramo e Pescara.
L‘Osservatorio raccontò come nel “corso degli anni, per evitare la pressione sulle gallerie e sui laboratori, l’acqua della falda è stata captata e utilizzata per la distribuzione potabile. Circa 100 litri al secondo vengono prelevati dall’area dei Laboratori e circa 700 litri al secondo dall’area delle gallerie”. Si sostenne che la mancata impermeabilizzazione delle gallerie e dei laboratori “ha determinato negli anni molteplici problemi” sino al maggio 2017, quando per due giorni fu vietato il consumo di acqua in gran parte della provincia di Teramo dopo che la Asl che aveva evidenziato problemi nell’acqua proveniente dal Gran Sasso. A seguito di quest’ultimo incidente, il 13 settembre prossimo inizierà un processo che vede imputati i vertici della Strada dei Parchi SpA, dell’Infn e della Ruzzo Reti.
Le procedure
In un contesto del genere, l’Osservatorio ribadì che “l’accelerazione delle procedure non può essere a scapito del rispetto della normativa posta a difesa dell’ambiente e della salute umana: l’acquifero del Gran Sasso fornisce acqua ad oltre la metà degli abruzzesi e questa volta la messa in sicurezza questa volta deve essere completa e definitiva”.
La sicurezza delle acque
L’unico mondo per rendere veramente sicure le acque, sosteneva l’insieme di associazioni, è che lo Stato metta a disposizione i 172 milioni di euro necessari per gestire il rischio idrico e che questi soldi vengano amministrati con “partecipazione e trasparenza”, fattore che “mal si concilia con un commissariamento”, scrive l’Osservatorio. “Bisogna intervenire in tempi rapidi – sottolinea Dante Caserta, vicepresidente del Wwf – per mettere in sicurezza il Traforo. Lo stanziamento previsto è di circa 170 milioni di euro; ma, ad oggi, si parla solo di individuare il commissario ma non si dice nulla sugli interventi”.
Annalisa Mandorino, vice segretaria di Cittadinanza Attiva, aggiunge che “nei laboratori sono state stoccate sostanze pericolose per diverse migliaia di tonnellate (benzene, acqua ragia) che, in base alla normativa Seveso, non potrebbero essere stoccate lì. Questi laboratori furono già sequestrati dopo l’incidente del 2002. Furono stanziati 80 milioni di euro per l’impermeabilizzazione delle gallerie ma non si capisce che fine abbiamo fatto questi fondi”.
Ad oggi, secondo l’Osservatorio, nei laboratori dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare ci sono circa di 1.000 tonnellate di acquaragia e 1.292 tonnellate di trimetilbenzene. L’unico modo per gestire la sicurezza della rete idrica è “garantire l’abbassamento del rischio per l’acqua avviando da subito le azioni necessarie per rimuovere dai laboratori le sostanze pericolose”.
di Antonio del Furbo