Il governo di Mario Draghi è ormai a un passo dalla formazione. La politica (tutta) l’ha definito “personaggio di alto profilo”, e “persona competente”. Nessuno, al momento, ha sollevato dubbi su alcuni aspetti.
Sarà la voglia di accomodarsi al tavolo del Recovery fund per spartirsi i 209 miliardi, sarà che in tanti cercano di rifarsi una verginità politica – vedi M5S e Lega – nessuno dell’arco costituzionale ha evidenziato l’opportunità di una nomina dell’ex governatore alla guida politica dell’Italia.
Il tema che deve interessare la politica – e dunque gli italiani – è se Draghi le sue competenze le metterà a disposizione delle fasce deboli, dell’industria, delle banche o della finanza mondiale. Al momento – al netto di qualche uscita sporadica di alcuni politici – del programma di Draghi non si sa nulla.
Per giudicare quelli che Draghi farà non possiamo che partire dal passato. Dal suo.
Non molto tempo fa gli interessi dell’Italia si contrapponevano agli interessi di élite finanziarie di cui lui è autorevole espressione. Mario Draghi giusto per citare qualche elemento – proviene dal Gruppo dei Trenta, ossia il più esclusivo dei club delle élite della finanza internazionale, non da un sindacato dei lavoratori.
Correva l’anno 1992
Nel 1992 Draghi salì a bordo dello yacht dei reali inglesi (il “Britannia”) nella famosa conferenza per le privatizzazioni. La sua competenza la mise a disposizione della Goldman Sachs nella quale lui fece carriera. Quelle privatizzazioni – è evidente – furono un disastro per il Paese: una svendita. Basta citare quello che è successo con Autostrade per l’Italia.
I derivati di Stato
Competenza che Draghi utilizzò con i derivati di Stato. Banche d’affari hanno registrato introiti miliardari con quei derivati. Ma le casse dello Stato non hanno retto l’impatto devastante. Nel 2011 l’Italia ha pagato 4 miliardi alla banca Morgan Stanley, dove tra l’altro lavorava il figlio di Mario Draghi. E proprio su quella clausola inserita che ha generato una perdita all’Italia di quella somma c’è stata una inchiesta giudiziaria. Con questo curriculum Draghi non poteva non essere chiamato alla BCE.
Lo sgambetto del 2011 e lo schiacciamento della volontà popolare
Nel 2011 Draghi fu corresponsabile della caduta del Governo democraticamente eletto. Ricordiamo anche che l’Italia venne ‘commissariata’ dalla finanza internazionale. Invece quel “whatever it takes“, Draghi lo pronunciò soltanto quando il Governo era già crollato.
Quantitative Easing
Con il Quantitative Easing e con gli altri strumenti di finanziamento adottati dalla BCE ancora una volta Draghi usò tutta la sua autorevolezza. Il Quantitative easing rappresenta una delle modalità non convenzionali con cui una banca centrale interviene sul sistema finanziario ed economico di uno Stato, per aumentare la moneta a debito in circolazione. La Bce avrebbe potuto fare il contrario: ovvero vincolare le banche a far arrivare soldi all’economia reale, a diminuire il debito privato, ad aiutare i cittadini. Ma non lo fece.
Invece ha aiutato le banche italiane ad acquistare i titoli di Stato in pancia alle banche straniere, poi ha vincolato la Banca d’Italia a riacquistare quei titoli in pancia alle nostre banche. L’operazione portò debito agli italiani che ancora oggi lo ripagano di tasca propria.
La chicca finale: il saldo target
Tutti i passaggi di denaro fra un Paese e un altro vengono intermediati dalle banche centrali di riferimento. L’eurozona condivide una moneta unica e il sistema delle banche centrali (l’eurosistema) si è dotato di uno strumento contabile che serve proprio a rendicontare i flussi finanziari fra le banche sorelle. Il Target 2, appunto. Il cui saldo, per dirla con le parole di Bankitalia, rappresenta “la contropartita contabile di tutte le transazioni eseguite fra residenti e non residenti” di un paese. Dell’Italia, nel caso nostro.
Nel 2018, questo saldo è risultato debitorio per 482 miliardi. Ciò significa che la Banca d’Italia ha un saldo – fra gli ingressi e le uscite di denaro – negativo per 482 miliardi. In sostanza, sono usciti più soldi di quanti ne siano entrati.
Correva l’anno 2018…
Nel 2018 il saldo è peggiorato per 43 miliardi, quindi la posizione debitoria dei Bankitalia è peggiorata. In sostanza sono usciti dall’Italia 43 miliardi in più di quelli che sono entrati. Ad esempio sono usciti 51 miliardi di investimenti esteri dai titoli di stato italiani, e altri 13 miliardi sono usciti dagli investimenti esteri in obbligazioni private, cui se ne aggiungono altri 12 usciti dalle obbligazioni bancarie. Quindi l’estero ha venduto titoli italiani per 76 miliardi. Un altro deflusso è rappresentato dagli investimenti degli italiani in titoli esteri, che sono ammontati in 46 miliardi. Complessivamente quindi i deflussi sono stati 122 miliardi. A questi bisogna aggiungere anche i 17 miliardi rappresentati da “altre voci” che fra le altre cose misurano anche gli investimenti diretti che hanno rappresentato ulteriori deflussi. Arriviamo cosi a 139 miliardi di uscite complessive.
Dunque: l’estero vende i titoli pubblici italiani. Le banche italiane sono “costrette” a comprarli per non fare esplodere lo spread (e i loro bilanci) e per farlo raccolgono denaro all’estero sul mercato dei repo, quindi a tassi calmierati, per far rientrare questi denari in Italia sotto forma di acquisti di titoli di stato da parte dei residenti. E il Target 2 presenta sempre il conto. Ed è sempre salato.
Con le operazioni di rifinanziamento della BCE, l’Italia è passata da un saldo positivo ad un saldo estremamente negativo. Quei debiti dell’Italia sono poi diventati crediti della Germania; in sostanza è stato salvato l’euro indebitando l’Italia.
Non è che i partiti politici stanno armando un ‘killer’?
di Antonio Del Furbo
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