Una testimonianza molto interessante sul 25 aprile è quella riportata nel quaderno della Resistenza di Giorgio Allori, internato per due anni nei lager nazisti. Un documento portato alla luce dall’Espresso e in cui si trovano parole e disegni di un ufficiale italiano rinchiuso per due anni nei lager nazisti. Un uomo che, per la prima volta, a 98 anni racconta la sua storia.
Allori Giorgio 28325. Il nome del proprietario e il suo numero di matricola. È una storia che, in qualche modo, ha attinenza con il periodo attuale fatto di morte e di rinascita.
“Quando si soffre tanto non si racconta”, spiega Allori.
Giorgio Allori è nato il 4 febbraio 1922, prima dell’avvento del fascismo e subito dopo la prima guerra mondiale e della epidemia della febbre spagnola. Abita a Cesano, alle porte di Roma. “Per me è stato un inizio di anno brutto. A gennaio ho perso mia moglie Maria, dopo aver festeggiato con lei settant’anni di matrimonio”. Poi l’isolamento da virus. “Qualche settimana dopo è arrivato l’obbligo di restare a casa. Ogni tanto viene qualcuno e mi lascia attaccato al cancellino un pacchetto con un dolce o con una lasagna. Ho un pezzetto di giardino, vado a fare la spesa, con la scusa cammino. Leggo molto”.
Figlio di un impiegato della banca commerciale, Allori si è poi spostato a Modena, per l’accademia militare. Il 9 settembre mattina fu catturato dai tedeschi e rastrellato con gli altri.
Da quel momento inizia per Allori un viaggio di due anni nei lager. La prima tappa fu il campo di Toru ń in Polonia, poi Cz ę stochowa, Przemy ś l, il trasferimento in Germania, a Norimberga, Altengrabow, infine Berlino. “Non ho mai capito la ragione di tutti questi spostamenti” spiega al settimanale. Il primo viaggio dall’Italia durò giorni, eravamo in più di cinquanta stipati in un vagone merci.
L’8 settembre lo Stato si dissolse, la famiglia reale fuggì, il fascismo arrivò. Un quarto dei soldati passò con i tedeschi per arruolarsi nella Repubblica di Salò.
“La prima richiesta era aderire all’esercito di Salò, ci ripetevano che saremmo rientrati e che ci avrebbero trattato bene. In secondo luogo, ci chiedevano di lavorare, in campagna, nelle miniere, nelle industrie.”
Di fame ha parlato un altro internato, lo storico Vittorio Emanuele Giuntella: “Il mio pane quotidiano lo avrei voluto veder crescere davanti a me come una pagnotta sempre più grande”. Poi il freddo, le docce all’aperto “la spennellata di petrolio sulla carne viva contro gli insetti“, la tubercolosi, i pidocchi, il tifo. La violenza e la disumanità.
A Prezemysl consegnarono a Allori un quaderno. Era proibito tenere un diario, eppure in tanti scrivevano. Allori conobbeFranco Quattrocchi che riuscì a disegnare in prigionia le scene di vita quotidiana dei lager. A sfogliarlo ora appare come un piccolo capolavoro miracolosamente ritrovato. Le ricette di culinaria, con gli antipasti, la pasta asciutta, i risotti, le frittate, la carne, i dolci. S
“Ci davano un pezzo di pane di 300 grammi, sette centimetri per otto o nove diviso per sei nella baracca”. Allori annotava e disegnava la pianta dei campi in cui era stato deportato, Przemy ś l, Norimberga, Altengrabow.
Tornò nel 1945. “Quando rientrammo in Italia, al Brennero, mi commossi a vedere dal treno un grappolo d’uva. Qualcosa che avevo dimenticato“. “Di noi non si è quasi mai parlato. Non facevamo comodo a nessuno, eravamo italiani senza partito”.