L’uomo, in seguito ad una perquisizione, venne fermato e picchiato dagli agenti. Da quel giorno Liani non si da pace e cerca di ottenere una giustizia che, secondo lui, tarda ad arrivare.
L’uomo, in seguito ad una perquisizione, venne fermato e picchiato dagli agenti. Da quel giorno Liani non si da pace e cerca di ottenere una giustizia che, secondo lui, tarda ad arrivare.
“Il 4 febbraio 2010 – scrive Liani sul suo blog – sono stato fermato senza motivo e senza mandato proprio fuori il portone della mia palestra”. Subito dopo racconta di essere “stato privato dei cellulari e delle chiavi della mia automobile e costretto a salire nella macchina di questi 3 uomini che capivo essere carabinieri in quanto uno di loro mi mostrava molto velocemente il tesserino”. In auto, prosegue Liani, “venni informato che se nella casa dove mi stavano portando, che fra l’altro non era di mia residenza, avessero trovato qualcosa di illegale, avrei passato molti guai. Soprattutto si sarebbe scaricata l’ira del guidatore su di me”. Il giovane, residente a San Giovanni Teatino, racconta che per lui, quelli, furono attimi in cui vide la morte in faccia. “In casa fui subito ammanettato ed iniziarono a pestarmi. Uno degli agenti mi è saltato addosso strappandomi la maglietta e dandomi addirittura un morso sul trapezio dorsale sinistro”. Liani racconta che gli agenti gli “rovesciarono la casa rubando 3 mila euro. Mi lanciarono delle mele che presero in cucina ridendo e urlandomi in faccia che in caserma mi avrebbero dato il resto”. E nella stazione “fui proprio ridotto in fin di vita”.
L’unica colpa di Liani sarebbe stata quella di aver conosciuto una ragazza con cui aver condiviso una storia d’amore. “Era iniziato tutto nel migliore dei modi ed io ero veramente preso dalla sua semplicità” racconta Liani. “Lei però con me non fu sincera e una mattina, appena svegli, gli dissi che se non aveva intenzione di dirmi la verità rispetto ad una serie di sms ricevuti continuamente, se ne poteva andare a casa”. Quindi, stando al racconto di Liani, la ragazza sarebbe stata accompagnata al Pronto soccorso da un’amica dove avrebbe detto di essere stata “traumatizzata” da Liani. Con i genitori, viene accompagnata in caserma dove sarebbe stata indotta a raccontare tutto del suo ragazzo. “Così una sera – prosegue Liani – uscito dalla palestra fui avvicinato da una Peugeot 206 grigia con tre uomini a bordo che insistettero per farmi salire e condurmi in una casa a Sambuceto. In quell’appartamento non ci abitavo io ma un ragazzo che, in quel periodo, era fuori per lavoro. Entrati in casa cambiarono atteggiamento e, trovato nell’appartamento un involucro con polvere bianca, mi immobilizzarono e mi massacrarono”. Liani racconta che uno di loro gli andò vicino con una pistola trovata in casa dicendogli:”ti ammazzo, ti ammazzo vuoi vedere come ti ammazzo e poi scriviamo che ti sei sparato da solo?”. Liani fu accusato di aver picchiato donne e di aver nascosto 30mila euro. In caserma riferisce di essere stato picchiato da un uomo, parente della famiglia della sua ex ragazza. “Mi dissero di fare la talpa e di fornire informazioni rispetto a dei traffici loschi in regione ma io negai la mia collaborazione semplicemente perché non ero in nessun giro losco”.
Liani non ci sta perché nel suo caso “la Giustizia non ha fatto il suo corso” aggiunge. Tre mesi dopo i fatti, Liani presenta una denuncia nei confronti dei carabinieri. Il procuratore del tribunale di Chieti Pietro Mennini, che ha archiviato il caso, definisce le dichiarazioni di Liani “una ricostruzione dei fatti assolutamente non univoca”. Per il Gip, Antonella Redaelli, “ha condiviso le argomentazioni svolte dal pm sulla assoluta insostenibilità dell’accusa in giudizio”. Insomma per il pm Mennini Liani avrebbe fornito elementi non riscontrabili nei fatti. Liani però non si arrende e dichiara che è “agli atti dello stesso procedimento l’opposizione alla richiesta d’archiviazione del mio legale DIFENSORE e che offre ogni dovuto riscontro perché io eserciti il diritto di difesa, diritto che a me è stato violato essendo sopraggiunta l’archiviazione ignorando ogni richiesta di cui ai punti dell’opposizione che qui di seguito”. Nell’atto della Difesa si legge:”Stante già a quanto esposto dal legale difensore della P.O. scrivente, in occasione della richiesta di procedimento motivata nell’opposizione alla richiesta d’archiviazione del P.M. inquirente dr. Pietro Mennini, si evince in modo inequivocabile la parzialità dello stesso nella volontà di svalutare i gravi indizi di colpevolezza di cui agli atti sono a carico dei Carabinieri. Dunque, altresì appare inspiegabile l’archiviazione non essendo stata tenuta in considerazione quanto prospettato dal legale difensore nell’opposizione e ad oggi mi ritengo leso negli interessi anche per la negazione del contraddittorio, per il mio diritto di difesa ignorato. Davanti alla legge mi sono assunto le mie responsabilità, non mi sono sottratto al mio dovere ed alla correzione degli errori, ma non posso ora rinunciare a continuare a credere nell’imparzialità dell’amministrazione della giustizia, per cui oggi faccio appello alla Vs. diligentissima redazione in merito al più ampio dovere di solidarietà sociale nel servizio d’informazione nel rispetto della verità”. Sulla mancata considerazione delle produzioni della parte offesa “unica prova che sembrava un po’ di sostegno ai cc, era la deposizione di due miei compagni di cella; si consideri il modo chiaro in cui il P.M. esalta, nella richiesta d’archiviazione, la primordiale versione dei detenuti con le testuali considerazioni: “coincide perfettamente con quanto rapportato dai cc” e quanto invece denigra la ritrattazione degli stessi, dopo che sono stati rintracciati da me (una volta liberi) sostenendo il Mennini: “è da ritenersi strumentale e redatta “su misura” secondo i desiderata e/o indicazioni del committante Liani” tal che sembra accusarmi di aver indotto i due a ritrattare come per fornire un falso agli atti! …Ma lui lo sa che non vero, perchè non ha manco pensato di verificarla una cosa assai grave come sarebbe una frode processuale! Appunto, è che il P.M. lo asserisce senza averlo affatto verificato: non ha sentito la necessità di verificare personalmente i testi in nuova audizione, come logicamente suggerisce il mio legale nell’opposizione a scanso di ogni equivoco”. Ci sarebb, secondo la Difesa, anche l’errata interpretazione della documentazione medica prodotta “che il P.M. ignora sottolineando stralci di dichiarazioni varie estrapolate da altri contesti, per quanto in merito al morso, ed infine prendendo quanto da lui stesso ascoltato a siit dal medico del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Chieti che ha dichiarato che “non annotò…”.
Antonio Del Furbo