Gianni Liani non si arrende e continua la sua lotta nei confronti di uno Stato che definisce “omertoso” nei suoi confronti. “Ho subito un’ingiustizia e pretendo, da semplice cittadino, che i responsabili paghino per ciò che mi hanno fatto” spiega Liani. E i colpevoli sarebbero, secondo Liani, i carabinieri che lo hanno picchiato e, in secondo luogo, il procuratore della Repubblica di Chieti, Pietro Mennini.
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Gianni Liani non si arrende e continua la sua lotta nei confronti di uno Stato che definisce “omertoso” nei suoi confronti. “Ho subito un’ingiustizia e pretendo, da semplice cittadino, che i responsabili paghino per ciò che mi hanno fatto” spiega Liani. E i colpevoli sarebbero, secondo Liani, i carabinieri che lo hanno picchiato e, in secondo luogo, il procuratore della Repubblica di Chieti, Pietro Mennini.
La storia di Liani è molto particolare e, per certi versi, è assimilabile ai tanti casi nazionali che hanno suscitato sdegno e indignazione nei confronti delle forze dell’ordine per i casi Cucchi e Aldrovandi. Anche lui è stato preso, condotto in caserma, malmenato e, dopo una notte in carcere, è stato rilasciato. Alla base di questo comportamento dei carabinieri ci sarebbero state delle minacce che lo stesso Liani avrebbe fatto nei confronti della sua ragazza con la quale tuttora condivide la sua vita.
Il giovane abruzzese ha partecipato anche alla manifestazione del 15 febbraio a Ferrara in cui si sono riuniti tutti i familiari vittime dello Stato: dalla famiglia Cucchi alla famiglia Uva. Tutti a Ferrara a manifestare per chiedere che i quattro poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi non indossino più la divisa della Polizia di Stato. Nell’intervista, in cui Liani fa il punto della situazione sull’inchiesta che lo vede coinvolto, stralci di una telefonata con il difensore dei carabinieri Luca Sarodi.
ZdO