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Giada Giunti, la mamma che ha ‘perso’ il bimbo e che il giudice vuole arrestare

Giada Giunti, la mamma che ha 'perso' il bimbo e che il giudice vuole arrestare

La vicenda di Giada Giunti va avanti. E senza una soluzione. Il figlio è stato affidato al padre che, secondo la donna, è un uomo violento

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Il 24 giugno scorso durante l’udienza il PM ha chiesto la condanna e gli arresti di Giada Giunti. La mamma è accusata di Sindrome da alienazione genitoriale (PAS), controversa dinamica psicologica disfunzionale.

Giada Giunti avrebbe una sindrome che viene sviluppata nel momento in cui figli minori sono coinvolti in contesti di separazione e divorzio dei genitori e in particolare nei procedimenti giudiziari per l’affidamento dei figli minori. Anche se così fosse, però, c’è un dettaglio non trascurabile: la Pas non è riconosciuta come un disturbo mentale dalla comunità scientifica.

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La vicenda di Giada Giunti

Giada Giunti è una professionista romana del settore televisivo. La donna ha denunciato l’ex marito in seguito a un’aggressione avvenuta davanti al figlio. Presa per il collo, minacciata. Andiamo via, mammina, andiamo via, mammina” urlava il bimbo che assisteva al fatto. A quel punto la donna riesce a raggiungere la stazione dei carabinieri dove madre e figlio vengono soccorsi dal maresciallo Capo. Ultimate le indagini, il maresciallo Capo  invierà al tribunale per i minorenni e alla Procura della Repubblica di Roma una richiesta di “emissione di misura del divieto di avvicinamento” per l’ex marito. Mamma e figlio, intanto, verranno curati al pronto soccorso per “escoriazioni multiple” e 5 giorni di prognosi.

La denuncia

La donna denuncia l’ex marito. Il PM del Tribunale di Tivoli evidenzia “elementi di reità per l’aggressione” e la Questura di Roma, divisione polizia anticrimine di Roma, riscontra “maltrattamenti in famiglia”. Ma la denuncia viene archiviata dopo quattro anni e quattro mesi. Ricevuto l’avviso di garanzia l’ex marito, tre mesi dopo l’aggressione, denuncia l’ex moglie per simulazione di reato. Lo stesso PM del pool antiviolenza di genere che ha chiesto l’archiviazione della denuncia sporta dalla signora Giunti, tramuta la simulazione di reato in calunnia e rinvia a giudizio la signora.

Il rinvio a giudizio

Il PM nella richiesta di rinvio giudizio scrive di aver ascoltato due testimoni esattamente due mesi e undici giorni prima che la denuncia di simulazione di reato fosse stata depositata. “Possibile? Sarebbero state effettuate indagini prima che la denuncia venisse depositata!” dichiara Giada Giunti. “Ho chiesto a quel punto di essere interrogata dal Gip”.

“Ho fatto presente al GUP delle numerose prove dell’aggressione (tra cui registrazioni, testimoni, certificati del pronto soccorso ed altro) e sono stata rinviata a giudizio sulla base di ‘un foglio di carta’ allegato alla denuncia che sarebbe stato firmato da due signore che non erano mai state sentite, rintracciate, e verificato se detta dichiarazione testimoniale dattiloscritta fosse autentica”.

L’interrogazione sei anni dopo

Le donne vengono interrogate dal magistrato sei anni dopo. E dichiarano di non aver mai scritto, compilato, firmato e consegnato all’ex marito della Giunti la dichiarazione testimoniale. Risulta, secondo la Giunti, “che PM e GUP hanno dichiarato di aver ascoltato le due testimoni due mesi e undici giorni prima del deposito della denuncia, ma poi si scopre che non si trattava di un interrogatorio ma di una semplice dichiarazione testimoniale dattiloscritta che le due signore hanno smentito aver scritto e firmato”.

“Quindi, chi ha scritto a macchina, compilato, apposto i nominativi delle due signore, apposto il timbro della posta ed allegate alla denuncia di simulazione di reato?”

Tutto fermo

“Tutto ciò accade – spiega Giunti – quando una donna ha il coraggio di denunciare. E non solo non viene protetta ma non viene tutelato neanche un bambino completamente terrorizzato dal padre”. E, come se non bastasse, alla mamma viene sospesa la responsabilità genitoriale perché il PM invia la sua richiesta di archiviazione al giudice minorile ritenendo la denuncia della Giunti fosse “strumentale e di pregiudizio per il minore”.

Due anni dopo l’inizio del procedimento al tribunale per i minorenni – iniziato con denuncia dell’ex marito di abbandono di minore nel circolo sportivo dove praticava sport – il piccolo viene allontanato dalla mamma perché diagnosticata “simbiotica”. Il figlio di Giada viene collocato in una casa famiglia e poi affidato al padre che dalle risultanze dei periti nominati dai tribunali è risultato “violento, aggressivo,  con disturbo del pensiero, della personalità, narcisista, pur di rovinare la vita alla moglie la rovina anche al figlio”.

La donna ha sporto denunce in codice rosso, appena entrata in vigore la legge (agosto 2019), ma sono assegnate allo spesso pool antiviolenza, ossia a coloro che accusano Giada Giunti di calunnia e durante l’udienza del 24 giugno hanno chiesto la condanna e gli arresti per la donna.

“È opportuno denunciare? È difeso un bambino vittima di violenza assistita? Sono state rispettate le normative nazionali, sovranazionali, le convenzioni europee (soprattutto Istanbul), le sentenze della Corte di Cassazione che dovrebbero essere un deterrente per il contrasto alla violenza sulle donne ma soprattutto bambini?” chiede la Giunti.

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