Ho seguito il “corteo funebre” del quotidiano Il Tempo e, nell’ascoltare le parole di Stefano Pallotta (Presidente dell’Odg Abruzzo), di Franco Farias (Segretario di Assostampa Abruzzo), come di tutti gli altri, sono rimasto brutalmente colpito dal loro modo di esprimersi anacronistico, vecchio, come se fossero stati dei personaggi ibernati negli anni ’70 e scongelati oggi.
A dire il vero tutta la manifestazione era di per se anacronistica, nel modo, nella forma, nel contenuto e anche nelle soluzioni proposte per sollevare le sorti: il finanziamento.
Il finanziamento può migliorare le condizioni di un malato ma, per quanto ne so, non fa resuscitare i morti.
Eppure questa gente ha vissuto la stessa epoca che ho vissuto io, ma allora, com’è possibile tanta povertà intellettuale?
Orson Welles scrisse: “Quarto Potere”, in cui denunciava il controllo della stampa sulle persone; nel 1976 Sidney Lumet mise in scena: “Quinto potere”, in cui denunciava il controllo della televisione sulle persone.
Ora siamo nel “Sesto potere”, quello che nessuno ha scritto in maniera decente ma che dovrebbe denunciare il controllo di Internet sulle persone.
Per spiegarmi in maniera più efficace parto da un esempio.
L’altro giorno stavo in un paesino sperduto nelle colline del Lazio a trovare mio zio, contadino, agricoltore, il cui concetto più elevato che ha espresso è: “Nun me toccà er pupone”.
Ho visto mio zio con il pc e Facebook, così ho pensato: “Ma tu guarda quel gran figlio di buona donna di Mark Zuckenberg, ha avuto un’idea così attraente che dagli Stati Uniti ha raggiunto questo paesino sperduto nella ciociarìa, colonizzato da vacche e da pecore”.
Così mio zio, come ho detto, agricoltore con la camicia da buttero e due mani come due vanghe, dopo che si è dato al porno a rotta di polso, entra su Facebook dove ha messo la foto di quando era giovane e come citazione preferita ha scritto: Ora et labora.
Ecco, più di 30 milioni di italiani hanno costruito un’immagine falsa e, ai loro occhi, migliore di quella vera, in modo da esaltare e poi di appagare l’esigenza umana del narcisismo.
La domanda di Facebook, quella che davvero tiene la gente incollata al 6° potere è: “Che cosa stai pensando?”.
Così il 6° potere, dopo aver esaltato il narcisismo della forma, esalta il narcisismo del pensiero e ti dice: “Dì la tua, esprimiti, è importante, tutti devono dire la loro, uno vale uno, di la tua, anche se nella vita la cosa più importante che hai detto è: -nun me toccà er Pupone-… anche tu devi dire la tua”.
Questa è stata la trovata del potere: se tutti parlano è come se non parlasse nessuno; tanta informazione, nessuna informazione; tante opinioni, nessuna opinione.
Il potere è riuscito, per la prima volta nella storia, a reprimere la libertà di espressione, saturando la libertà di espressione stessa.
Quanto si è avanguardisti nel denunciare tutto questo? Ma soprattutto, quanto impiegherà la gente a capire tutto questo?
La gente oggi viene a contatto con le informazioni, soltanto per sapere quel tanto che basta per vomitare quella che pensano essere la loro idea.
Per appagare questa reale esigenza moderna, orripilante, distruttiva ma comunque reale, il quotidiano Il Tempo è uguale al post pubblicato da un comune cittadino dotato di un minimo di autorevolezza, fate conto, un consigliere comunale.
Una volta ho fatto un esperimento: ho scritto un articolo con un titolo che esaltava la giunta di sinistra e l’articolo che invece la criticava.
Il risultato è stato: un mare di commenti, da 200 parole in su, di gente che diceva: “Ma come fai ad esaltare la sinistra?”… hanno letto solo il titolo e ciò è stato sufficiente per parlare, dispensare opinioni e pareri.
Se il prodotto commerciale che è destinato a fallire è quello che non corrisponde più alle esigenze del mercato, Il Tempo, come del resto tutti gli altri, non corrisponde più a queste esigenze.
Oggi, ogni persona si sente un quotidiano, fa le veci di un quotidiano e, chi magari ha anche un minimo di autorevolezza, nei social diventa più letto, e soprattutto più commentato, di un quotidiano.
La gente scrive, scrive e non legge.
Come disse il Maestro Veneziani in un’intervista rilasciata alla mia amica Maria Cerasi: “L’esercito di poeti in Italia (si parla di sedici milioni!) leggesse almeno due libri di poesie all’anno, i destini della poesia sarebbero salvati, e invece purtroppo scrivono poesie ma non leggono poesie.
Il risultato è che se qualcuno prova a presentare un libro di poesie ad una casa editrice, la casa editrice ti risponde che la poesia è morta e il libro devi pagartelo da solo”.
Non si può non vedere questa realtà e scendere in piazza con cortei che l’unica cosa che comunicano è la nostalgia di com’eravamo.
La soluzione non è quella di chiedere fondi ai politici, alle istituzioni per riesumare i cadaveri, ma piuttosto quella di ricostruire completamente il sistema dell’informazione italiano, un sistema che faccia fronte, in maniera economizzabile, a questa nuova e ripeto orripilante esigenza del mercato.
Per fare ciò non si può partire dai cadaveri, che tutto quello che sanno chiedere sono finanziamenti, finanziamenti, finanziamenti.
Qual è la prima cosa da fare? Uscire dai social, “stare zitti”, com’è vero che, rassegnatevi, molte persone sono nate pubblico e moriranno pubblico.
Ecco la più immediata delle soluzioni: tacere… ma… chi parte per primo?
Marco Minnucci