Francesco Lena, imprenditore palermitano di fama internazionale per il suo vino biodinamico e il turismo di lusso, è morto lasciando dietro di sé una storia tanto straordinaria quanto drammatica.
Francesco Lena, vittima dell’Antimafia e del sistema del giudice Saguto. La sua vita, che avrebbe dovuto essere caratterizzata da successi imprenditoriali e familiari, si è invece intrecciata con una delle vicende più emblematiche dell’antimafia corrotta in Sicilia.
L’arresto e le accuse infamanti
Nel 2010, Lena, allora settantaquattrenne, fu arrestato all’alba nella sua abitazione a Castelbuono con l’accusa infamante di associazione mafiosa. Per chi lo conosceva, questa accusa era una contraddizione palese: un uomo che aveva lasciato la Sicilia per sfuggire alle estorsioni mafiose ora veniva dipinto come collaboratore della criminalità organizzata. Le prove a suo carico si basavano su dichiarazioni generiche di pentiti e su episodi di decenni prima, ma bastarono a sconvolgergli la vita. Visse 23 giorni in carcere e quasi due anni ai domiciliari, un tempo che segnò l’inizio di un calvario giudiziario e personale.
Il declino della sua azienda
Le conseguenze non si fermarono lì. La sua azienda, un gioiello dell’enologia e del turismo, fu sequestrata e messa nelle mani di un curatore giudiziario all’interno del “Sistema Saguto”, un meccanismo di corruzione che gestiva i beni sequestrati ai presunti mafiosi. La cattiva gestione portò al declino della sua impresa: vigneti abbandonati, una produzione crollata da 750.000 bottiglie l’anno a 150.000, un uliveto di 40 ettari lasciato all’incuria. Persino il resort di lusso, ricavato da un’abbazia del XV secolo, subì danni incalcolabili a causa della mancanza di manutenzione.
La lunga attesa della giustizia
Nel 2021, dopo 3.875 giorni, Lena riottenne il controllo della sua azienda, ma il danno era ormai irreparabile. Ciò che aveva costruito con decenni di lavoro era stato distrutto. La sua assoluzione definitiva non poté restituirgli quegli anni, né la reputazione che tanto faticosamente aveva costruito. “Come può un imprenditore onesto, riconosciuto tale da Falcone, essere accusato da chi si proclama erede del magistrato?” si chiedeva spesso. “Perché, dopo un’assoluzione, i beni non vengono restituiti subito? E perché nessuno paga per i danni subiti?”
Un combattente per la giustizia
Francesco Lena non era solo un imprenditore. Era un combattente per la giustizia, un uomo che, anche quando si è reso conto che il tempo non gli sarebbe bastato per vincere la sua battaglia, non ha mai smesso di lottare. Lo ha fatto per i suoi figli, per i suoi nipoti, per assicurare loro un futuro migliore. La sua determinazione lo ha portato a denunciare pubblicamente il “Sistema Saguto” e a partecipare a decine di convegni, audizioni parlamentari e trasmissioni televisive, sempre con l’obiettivo di riformare le leggi sulle misure di prevenzione e impedire che altri imprenditori subissero il suo stesso destino.
L’assemblea in memoria
Sabato 14 dicembre a Palermo, l’assemblea organizzata da Nessuno Tocchi Caino ha voluto ricordare Francesco Lena, dedicandogli una giornata di riflessione e memoria. “La fine della pena”, l’ultimo libro dell’organizzazione, raccoglie storie di sofferenza giudiziaria e mette in luce le contraddizioni di un sistema che, nel nome della lotta alla mafia, ha spesso punito gli innocenti. La vicenda di Lena è stata emblematica di questa deriva: arrestato con altre 19 persone nel 2010, fu l’unico assolto in primo grado con formula piena, ma dovette comunque affrontare anni di sequestri e vessazioni burocratiche.
Gli effetti devastanti della persecuzione giudiziaria
La moglie di Francesco Lena ha raccontato con dolore gli effetti devastanti di questa persecuzione giudiziaria. “Abbiamo perso tutto: il vino, l’olio, la rete commerciale. Anche i creditori hanno rivolto le loro azioni legali contro di lui, un uomo dichiarato innocente.” La sua azienda, che produceva incassi di milioni di euro, era stata ridotta a un’ombra del passato, mentre le banche e le amministrazioni giudiziarie si dimostravano incapaci di gestirla. Lena ha combattuto fino alla fine, cercando di salvare il salvabile e chiedendo alle istituzioni di intervenire per aiutare gli imprenditori vittime di sequestri ingiusti.
Il “Sistema Saguto”: un capitolo oscuro
La storia del “Sistema Saguto” rappresenta un capitolo oscuro della giustizia italiana. Al centro di questo sistema vi era Silvana Saguto, allora presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, accusata di avere creato una rete di complicità tra giudici, amministratori e consulenti. Questa rete aveva il compito di gestire i beni sequestrati, ma le irregolarità e le connivenze portarono alla distruzione di molte aziende e alla rovina di numerosi imprenditori. Le inchieste giudiziarie hanno svelato come i sequestri, spesso basati su accuse infondate, diventassero strumento di arricchimento personale per pochi, a scapito dei veri proprietari.
Le conseguenze sul patrimonio di Lena
Il caso Lena è un esempio paradigmatico delle storture di questo sistema. Le sue aziende furono gestite con totale disinteresse per la sostenibilità economica, portando alla perdita di asset fondamentali e alla compromissione del marchio. I dipendenti, privati dei contributi, videro svanire la loro sicurezza economica, mentre i fornitori rimanevano senza pagamenti. Persino il Durc, documento essenziale per accedere ai finanziamenti, divenne irregolare, bloccando ogni possibilità di rilancio.
Il coraggio di una figura simbolo
Nel frattempo, Lena continuava a lottare, non solo per sé ma per tutti coloro che si trovavano nella sua stessa situazione. La sua partecipazione ad audizioni e convegni lo rese una figura simbolo della resistenza contro le ingiustizie del sistema. Ogni intervento pubblico era un grido d’allarme, un richiamo a non abbassare la guardia di fronte a un sistema che, in nome dell’antimafia, aveva tradito i suoi stessi principi.
L’eredità di Francesco Lena
Oggi, la storia di Francesco Lena è un monito e una denuncia. Un uomo che ha dedicato la sua vita alla libertà e alla giustizia non può essere ricordato solo per ciò che ha perso, ma per il coraggio con cui ha affrontato l’ingiustizia. “Che lo Stato abbia il buon senso di fare ora ciò che avrebbe dovuto fare anni fa: salvare l’Abbazia e impedire che altri subiscano lo stesso destino”, ha dichiarato un suo collega, anch’egli vittima del sistema.
Francesco Lena ha lasciato un segno indelebile non solo nel panorama imprenditoriale, ma anche nella battaglia per una giustizia più equa. La sua storia non è solo un atto d’accusa contro le storture del sistema, ma anche un richiamo alla responsabilità e alla necessità di cambiamento. La sua eredità risiede non solo nei vigneti e nell’abbazia, ma nella speranza di un futuro in cui la giustizia non sia più una chimera.