Bisogna mettersi d’accordo: chi deve scegliere un candidato politico? I partiti o la magistratura? I giustizialisti repressi, vedi qualche firma sul ‘Fatto’ piuttosto che su ‘Repubblica, oppure i cittadini? Diciamo che le persone di buona speranza forse, dico forse, vorrebbero scegliersi chi mandare a quel paese con una bella croce sulla scheda elettorale come ai ‘bei tempi’ di zio Remo.
Bisogna mettersi d’accordo: chi deve scegliere un candidato politico? I partiti o la magistratura? I giustizialisti repressi, vedi qualche firma sul ‘Fatto’ piuttosto che su ‘Repubblica, oppure i cittadini? Diciamo che le persone di buona speranza forse, dico forse, vorrebbero scegliersi chi mandare a quel paese con una bella croce sulla scheda elettorale come ai ‘bei tempi’ di zio Remo.
Da vent’anni, invece, a scegliere i burattini, nazionali e locali, ci pensano i tribunali. Una sorta di giustizia divina in terra, con una schiera di giornalisti, più o meno precari e con le pezze al culo, che giocano a fare, da perfetti figli di papà, i rivoluzionari con annessa puzza sotto il naso di ‘radicalchicchismo’.
Travaglio (chi?) ci si è costruita una carriera. Il velino delle procure sforna editoriali ad ogni minuto del giorno e ci racconta di quanto male c’è in Italia. L’ominide offende, spara, annienta. A lui impossibile replicare. ‘Lui è uno che conta e guai a voi ad attaccarlo’.
In Italia la libertà di stampa c’è e come ma solo per parlar male della politica. Più che libertà di stampa la chiamerei ‘libertà di offendere’. Guai a toccare un giornalista. Guai a toccare queste meduse che si aggirano nelle redazioni dei colossi che contano. Guai a dire che certa gente ha raccontato e continua a raccontare la storia d’Italia sotto dettatura. E mi fermo qui altrimenti potrei prendere un po’ di mazzate in una notte che lascia il posto al giorno.
Nessuno deve permettersi di dire:”Se condannato, niente dimissioni. Aspetterò la Cassazione”. Nemmeno un semplice cittadino. Se a dirlo è un politico allora va ghigliottinato in pubblica piazza.
Il candidato del centro-sinistra alla Regione Abruzzo, Luciano D’Afonso, lo ha detto. Si è permesso di dire questa cosa. Ha pronunciato tali parole. Anatema. “Pagherete caro, pagherete tutto” diceva qualcuno. E D’Alfonso cosa pagherà? Lui niente, al massimo pagherà la zia. D’Alfonso si è permesso di dire, in un faccia a faccia con Giulio Borrelli, ex giornalista Rai e ora coordinatore politico di ‘Abruzzo Civico’.
Borrelli, che non si capisce a che titolo ha intervistato D’Alfonso, se come giornalista o come politico, con le domande ci è andato giù pesante.
Sul nodo cruciale della Sanità, il giornalista anglosassone, tuona:”Come si recupera la qualità dell’assistenza agli abruzzesi, vessata dalla malagestione?” quindi il colpo finale che butta a terra ‘big Luciano’:”Qual è l’alternativa alla chiusura delle strutture periferiche?”.
D’Alfonso, a quel punto in rianimazione, spara:”Voglio ridurre la mobilità passiva offrendo una qualità migliore dell’offerta”. Mentre David Cameron, un po’ più a nord acquisiva rudimenti di politica sanitaria, Borrelli sferrava una triplice alabarda spaziale:”Nel caso in cui dovesse arrivare una condanna in secondo grado, qualora fosse presidente, si dimetterà, costringerà l’Abruzzo a tornare alle urne?”. D’Alfonso risponde:”No, ricorrerò in Cassazione, per affermare la mia innocenza”.
Insomma piccoli Berlusconi crescono. Fin quando ci sarà la possibilità di votarli.
Antonio Del Furbo