Poco importa se il settore è in perenne crisi per via degli ascolti e dei palinsesti non sempre brillanti. Poco importa se i dati auditel sprofondano negli abissi sconosciuti dello zero assoluto. L’obiettivo del Governo, anche in periodo di pandemia, è assistere un settore destinato alla morte. E su cui continuano ad arrivare soldi pubblici: prelevate dalle tasche degli italiani.
Così accade, e accadrà ancora per molto, che le imprese radiotelevisive locali, seppur non forniscano elevati standard di qualità, continuino a incamerare soldi pubblici. “Con decreto direttoriale del 9 aprile 2020, registrato dall’Ufficio Centrale di Bilancio del MiSE in data 14-04-2020 al numero 331, sono stati approvati la graduatoria definitiva e gli elenchi degli importi dei contributi da assegnare alle RADIO a carattere commerciale per l’annualità 2019” fa sapere il ministero dello Sviluppo Economico.
Le domande presentate dalle emittenti televisive ammesse al beneficio sono 137, per uno stanziamento di poco superiore ai 43milioni di euro. Sono invece 172 le domande delle emittenti radiofoniche ammesse, per uno stanziamento complessivo che sfiora i 6milioni di euro.
I 40 milioni previsti e poi saltati
Ma le emittenti chiedono di più per via dell’emergenza Covid-19. Con la pubblicità in calo e le perdite di ascoltatori le conseguenze sul fatturato pubblicitario ricade su tutti i media, tanto che il governo italiano aveva previsto, nei 25 miliardi di euro stanziati per sostenere l’economia (decreto “Cura Italia” del 16 marzo), anche un bonus (poi saltato) di 40 milioni di euro per le emittenti radiotelevisive.
Un settore in calo
Nel 2015 (l’ultimo anno con bilanci pubblicati da tutte le società e aggregato in uno studio da Confindustria Radio Tv) il comparto comprendeva 458 società televisive locali. Di queste solo 338 hanno pubblicato il bilancio, in calo di 32 soggetti (-8,6%) rispetto al 2014. Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Puglia rappresentano il 29% delle imprese totali (rapportate alle 458) e oltre la metà dei ricavi di un settore che nel 2015 ha fatturato 323,7 milioni (-10% sul 2014). In 10 anni il valore si è dimezzato (647 milioni i ricavi del 2006) mentre le perdite consolidate sono salite a 400 milioni nel periodo “post-analogico”(64 milioni il passivo nel solo 2015). Anche gli addetti che erano circa 5mila sono scesi a 3.180 nel 2015 (-13,3% sul 2014). E si parlava del 2015. Poi sono intervenuti ridimensionamenti e chiusure in tutto il territorio nazionale.
Come fa un settore a stare sul mercato se non sperimenta adeguandosi alle nuove tecnologie?