È morto quindi. È morto quel giullare che quel potere lo dileggiava. Scomparso quel giullare, l’unico che ha preso a schiaffi il potere che tutto mangia e tutto distrugge, oggi nulla rimane. Se non molti giullari che con quel potere ci vanno a letto.
di Antonio Del Furbo
Insomma, diciamo la verità: non se ne sentiva proprio il bisogno di un’uscita di scena di Dario Fo. Così poi, in punta di piedi e senza che nessuno se lo aspettasse. Comodo per lui dire:”vado da un’altra parte” e magari a fare spettacoli e a costruire nuovi linguaggi. Semplice per lui che era ateo. Ma tant’è.
A noi ci tocca rimanere, assistere ad una lunga decadenza di un sistema che non ha nulla da dire. Nulla da raccontae. Ed è per questo che il potere, sempre quasi pubblico, per farsi celebrare continua ad assoldare giullari di ogni razza e religione. E basta che decanti (spesso in “rima baciata”) le sorti e le vittorie di alcuni “ragazzacci”. È sempre un potere che si circonda di utili idioti.
E a noi cosa rimarrebbe da fare? Prenderli a schiaffi senza se e senza ma. Ma il potere è pericoloso, e spesso uccide. Ed è meglio non averci a che fare.
Anche perché a Dario Fo qualche volta è andata storta. Come quando in Morte accidentale di un anarchico, una pièce sul decesso dell’anarchico Giuseppe Pinelli volato dal quarto piano della questura di Milano, l’allestimento dello spettacolo gli costò più di quaranta processi in varie parti d’Italia.Per questo Fo, per evitare altri problemi, spostò l’azione della commedia dall’Italia agli Stati Uniti d’America, dove negli anni venti, nella città di New York, era accaduto un fatto di cronaca simile agli avvenimenti accaduti intorno alla morte di Pinelli che aveva come protagonista Andrea Salsedo, amico di Bartolomeo Vanzetti.
Ma il potere lo colpì anche un’altra volta, e forse in maniera più vigliacca. Lo colpì quando, negli anni di piombo, la moglie Franca Rame venne sequestrata e violentata da alcuni neofascisti legati alla destra eversiva e ad ambienti militari. La ritorsione fu per l’attività politica svolta assieme al moglie nei movimenti di sinistra. Era un’attivista del Soccorso Rosso Militante e i due coniugi si trovarono a difendere pubblicamente Giovanni Marini, Achille Lollo (entrambi poi condannati), Giambattista Lazagna e Pietro Valpreda, nonché gli ex membri di Lotta Continua accusati dell’omicidio Calabresi: Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi.
Di queste attività risentirono anche la compagnia teatrale Fo-Rame che ebbe numerosi processi e querele, seguite a intimidazioni e minacce.
Fo è andato avanti però, in pieno stile anarchico. Lui il suo pubblico ce l’aveva, lo ha sempre avuto ed era cosciente del fatto che la sua satira stava costruendo qualcosa di nuovo. Un nuovo linguaggio. Lui era quel giullare che giocava con l’anticonformismo, l’anticlericalismo in un’ottica di forte critica rivolta, attraverso lo strumento della satira, alle istituzioni (politiche, sociali, ecclesiastiche) e alla morale comune. Lui era, in sostanza, l’oppositore di ogni forma di potere costituito.
E lui era quel nemico da combattere perché era scomodo per lo Stato e per i suoi servi che nulla hanno creato e realizzato per il bene comune.
Lui era quell’uomo impaziente di fare, scrivere, parlare e dipingere.