Si faceva chiamare “il Dottore” ed era il leader venerato come un dio. Poi c’erano le “prescelte”, giovanissime e anche bambine, che venivano indottrinate con “pratiche magiche”, pratiche sessuali “spesso estreme e dolorose, vere e proprie torture” per “annullare l’io pensante” e isolarle dal mondo esterno. La storia raccapricciante della psicosetta di Novara.
“Il dottore”, 77enne del novarese, era il capo che “decide tutto”. “Lui” sceglie chi puoi frequentare, dove puoi lavorare. Sceglie, inoltre, quali ragazze devono farlo divertire. Il nome non poteva essere pronunciato “non ci è concesso”.
L’inchiesta
A dare l’avvio alle indagini è stato il racconto di una delle vittime, una ragazzina. Rivelazioni che hanno permesso di scoprire la “psicosetta” operativa da circa 30 anni che tra adepti e vittime ha avvicinato decine di persone. Sono state compiute torture sessuali anche su minorenni. Due anni di indagini della squadra mobile di Novara e del servizio centrale operativo della Polizia di Stato, coordinate dalla Dda della procura di Torino, hanno portato a 26 perquisizioni personali e 21 perquisizioni locali oltre che a numerosi sequestri, tra le province di Novara, Milano e Pavia. Si tratta di “un’organizzazione criminale impenetrabile tuttora attiva” che ha operato “cagionando nelle vittime perduranti danni psicologici fino, in alcuni casi, alla permanente compromissione delle facoltà mentali”.
La psicosetta
Il leader era aiutato da fedelissime collaboratrici “vere e proprie aguzzine” per adescare le adepte: coinvolte anche psicologhe, a loro volta adepte, indottrinavano le “prede” sfruttando stati di fragilità emotiva attraverso “lavaggi del cervello”, attenzioni o premure “fino ad accettare acriticamente insopportabili violenze e soprusi di ogni genere”. Oltre al centro psicologico, faceva forza anche su due scuole di danza, una di “Spada Celtica”, erboristerie, artigianato e una casa editrice, dove “lui”, dopo aver introdotto le adepte nella setta, le faceva lavorare.
Le “prescelte”, o “bestie”, come gli adepti si chiamavano tra di loro, giovani, anche bambine come nel caso della denunciante, entravano nella setta con “pratiche magiche”. Tra queste torture che permettevano di “accendere il fuoco interiore”, un passaggio costretto per entrare in un “mondo magico, fantastico e segretissimo”. Poi una volta dentro la setta, l’organizzazione si occupava della loro vita privata e professionale, scegliendo gli studi da intraprendere o il lavoro. Anche i familiari venivano inglobati e costretti a rispettare quanto deciso dal “Dottore”, altrimenti venivano minacciati di rompere ogni rapporto.
Le adepte erano isolate dal mondo esterno, tanto che la setta diventava l’unico sostegno economico e morale.
Il “Dottore” gestiva ogni movimento delle adepte dalla sua abitazione del Novarese, anche se vivevano nei diversi appartamenti e locali riconducibili alla setta, tra le province di Milano e Pavia. Proprietà che riuscivano a permettersi perché i membri erano tenuti a fare versamenti di denaro per mantenere il loro stile di vita agiato, per questo venivano scelti tra persone facoltose. E nessuno poteva ritenersi completamente immune, tra gli adepti anche ragazze “dal livello culturale molto elevato ed apparentemente esenti da condizionamenti esterni, rischiavano di essere annesse alla setta qualora individuate come prede”.