In pieno lockdown, nella prima ondata della pandemia, un uomo e una donna di Correggio (Reggio Emilia) escono di casa. Siamo al 13 marzo del 2020. Quando i Carabinieri li fermano, i due presentano una autocertificazione falsa in cui c’è scritto che la donna deve fare delle analisi e vuole essere accompagnata. Il Dpcm è illegittimo per il giudice.
I Carabinieri accertano che la donna non ha fatto tappa in ospedale, quel giorno, come ha giurato ai militari. A quel punto la coppia viene denunciata e finisce sotto processo. Pochi giorni fa, a gennaio del 2021, il Tribunale di Reggio Emilia li ha assolti entrambi “perché il fatto non costituisce reato”.
Il giudice di Reggio Emilia sancisce anche l’illegittimità del DPCM dell’8 marzo del 2020 che autorizzava le persone a uscire di casa solo “per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, spostamenti per motivi di salute”.
Il DPCM non può imporre l’obbligo di permanenza domiciliare, neanche in presenza di un’emergenza sanitaria. L’obbligo di permanenza domiciliare è – viceversa – una sanzione penale che può essere decisa dal magistrato per singole persone per alcuni reati, e soltanto all’esito del giudizio”.
E sempre il giudice di Reggio Emilia ricorda che la Corte Costituzionale stabilisce delle garanzie molto forti, a protezione del nostro diritto a uscire di casa quando vogliamo e di andare dove crediamo.
Ancora il giudice chiarisce che un DPCM, un decreto del Presidente del Consiglio, è un semplice atto “regolamentare”, che dunque manca della forza normativa per costringere qualcuno a restare in casa.
Certo, un DPCM probabilmente può imporre a qualcuno di non andare in zone infette, dove sono esplosi dei focolai mentre un divieto generalizzato – per tutti e in ogni luogo – è inaccettabile.
La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia ritiene nullo l’obbligo delle persone di compilare la autocertificazione per giustificare la loro uscita di casa. Dunque decade anche il presunto reato di falso ideologico che commettiamo quando autocertifichiamo il falso.