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Nel decreto sicurezza e, in particolare, nel provvedimento che spiega che fine dovranno fare le proprietà sequestrate alla criminalità, si legge che le stesse dovranno essere riassegnate al “miglior offerente”. Dunque, potrebbero andare a rifinire nelle mani degli stessi mafiosi. Parrebbe che la finalità del governo, dunque, sia quella di non riaffidare il bene sequestrato al pubblico ma, al contrario, quella di puntare a fare cassa su un patrimonio di tutti.



Nel 1995 oltre un milione di cittadini firmarono una petizione popolare al fine di far approvare al Parlamento italiano una legge sul riuso sociale dei beni confiscati alle mafie e ai corrotti. Una legge fortemente voluta da Rognoni e La Torre e che imponeva la restituzione del maltolto al pubblico.

La legge 109/96 individua tale possibilità con la formula del riuso sociale: un’operazione che consente di determinare un riscatto civile attivando una controtendenza economica e culturale sui territori ad alta densità criminale. Una legge presa a modello dall’Europa tanto che nel 2014 è stata varata la Direttiva 2014/42/UE, ispirata ai principi della 109/96.

Con il dl 113/18, cosiddetto decreto sicurezza, c’è un’inversione di rotta. La vendita, effettuata al miglior offerente, è un principio completamente differente dal riutilizzo pubblico e sociale. La 109/96 prevedeva l’eventualità di assegnare iil bene, in caso di mancata vendita, a soggetti specifici. Con il decreto Salvini, invece, sarà possibile effettuarla seguendo il criterio del libero mercato, della migliore offerta.

Come riporta Micromega, per “i beni con valore superiore ai 400.000 euro la vendita attraverso lo strumento dell’asta pubblica. Nel caso dei beni con valore inferiore ai 400.000 euro – parliamo, ad esempio, potenzialmente di appartamenti di centinaia di metri quadro nei centri città, di beni agricoli fino a 20 ettari – si potrà procedere attraverso lo strumento della trattativa privata”. Infine i beni una volta acquistati possono essere rimessi in vendita appena dopo i cinque anni.

Ad oggi i beni confiscati ancora non destinati ai comuni, in gestione all’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC) sono circa 16.874.

Il rischio, oltre a far finire nuovamente in mani mafiose i beni, è quello di disperdere una gran fetta di patrimonio pubblico in mani private, peggio ancora di prestanomi.

Di admin

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