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De Cecco, “frode in commercio” per la vicenda dei grani stranieri. C’è l’imputazione coatta

De Cecco, "frode in commercio" per la vicenda dei grani stranieri. C'è l'imputazione coatta

Il gip di Chieti scrive nell'ordinanza che Filippo De Cecco è responsabile di "frode in commercio". La vicenda riguarda i grani esteri.

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Il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’ordinanza riferibile all’art. 409 FORMULAZIONE DELL’IMPUTAZIONE – art. 409 c.5° del codice di procedura penale, ovvero frode in commercio.

Il Gip del Tribunale di Chieti, Luca De Ninis, ha disposto l’imputazione coatta per frode in commercio nei confronti di Filippo Antonio De Cecco. Oltre al presidente dell’omonimo gruppo che produce pasta a Fara San Martino (Ch), il procedimento ha coinvolto anche il direttore degli acquisti, Mario Aruffo, e dell’allora direttore del controllo qualità, Vincenzo Villani.

La vicenda, ora, entra nel vivo dopo che il sostituto procuratore della Repubblica di Chieti, Giuseppe Falasca, aveva chiesto l’archiviazione. Contro tale decisione aveva presentato opposizione Asso – Consum, un’associazione di consumatori.

“Pubblicità infedele”

Per il giudice la dichiarazione pubblicitaria di utilizzo dei soli “migliori grani duri italiani, californiani e dell’Arizona” è stata “una informazione infedele” e “frutto di una precisa strategia aziendale”.

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Origine dell’inchiesta

Il procedimento trae origine dalla denuncia-querela sporta il 28 maggio 2020 presso i Carabinieri del NAS di Latina da Antonio Di Mella – già dirigente, Direttore del Controllo di Gestione e CFO (Chief Financila Officer) ad interim del Gruppo De Cecco. Di Mella nel periodo immediatamente precedente alla predetta denuncia, “ha preso parte – scrive il giudice – ad una sorta di grave fibrillazione interna ai vertici aziendali, che ha determinato un contrasto per il controllo della gestione tra due schieramenti: da un lato l’odierno indagato Filippo Antonio De Cecco, ovvero del capostipite e Presidente del CDA; dall’altro due altri membri della famiglia De Cecco e del CDA, già amministratori delegati dimissionari (Saturnino e Giuseppe Aristide De Cecco), insieme con alcuni alti dirigenti, tra i quali lo stesso Di Mella, interessati a promuovere un cambiamento del controllo aziendale”. 

La credibilità di Di Mella

Un contrasto confermato sia dal procedimento civile, allo stato definito con sentenza di primo grado del Giudice del Lavoro di Chieti del 25 novembre 2021, che ha rigettato il ricorso avverso il licenziamento promosso dal Di Mella contro la società datoriale F.lli De Cecco di Filippo Fara San Martino s.p.a., sia dal procedimento penale pendente a Pescara no 1961/2019 RGNR a carico di F. F. e altri 5, cioè del gruppo ostile a Filippo Antonio De Cecco, nel quale sono state elevate contestazioni di rivelazione di segreto professionale ed infedeltà patrimoniale, attualmente in fase di conclusione delle indagini preliminari.

Il gip riconosce “la forte motivazione, da parte del Di Mella, alla rivelazione delle informazioni oggetto del presente procedimento penale, aventi finalità dichiarate di tutela dell’azienda e del marchio”, tuttavia “sono state svolte le indagini per il delitto di frode in commercio, che hanno un fondamento probatorio oggettivo, che non risente del conflitto di interesse di cui il Di Mella è portatore”

Approfondimenti

Per il giudice, quindi, sono necessari ulteriori approfondimenti.

“a) analisi della composizione delle miscele dei grani utilizzate per la produzione della pasta, distinte per provenienza, c.d. Mix B e Mix A;

b): accertamenti sull’utilizzo di grano coltivato in North Dakota;

e): verifica della catalogazione del grani acquistati dall’azienda nelle diverse fasi del processo produttivo;

f): accertamenti sugli acquisti anche della semola (oltre che del grano) e sulla provenienza dei relativi grani, alla luce delle dichiarazioni concernenti l’origine del prodotto e circa la molitura in Italia del grano utilizzato per la produzione”.

Informazione commerciale non corretta

I riscontri oggettivi, prosegue ancora il giudice, “consentono fin d’ora di sostenere l’azione in giudizio per il delitto di frode in commercio, in relazione alla dichiarazione dell’utilizzo dei soli ‘migliori grani duri italiani, californiani e dell’Arizona’, contenuta nella parte frontale delle confezioni quale informazione e nelle reclame all’epoca veicolate attraverso plurimi canali pubblicitari, pacifica in fatto e chiaramente riferita alla provenienza ed ai luoghi di coltivazione della materia prima utilizzata: un’informazione commerciale infedele e non adeguatamente corretta dalla mera indicazione di provenienza da ‘paesi UE e non UE’ riportata sulle stesse confezioni, in conformità con le previsioni del reg. Esec. UE no 775/2018”.

Il consumatore non informato

Il GIP, con giudizio opposto a quello espresso dal P.M. contenuto nella richiesta di archiviazione, sostiene che “la complessiva informazione veicolata dalle reclame e dalle confezioni della pasta in esame non permetta affatto al consumatore di comprendere che per la produzione siano stati utilizzati anche grani di provenienza diversa da quella degli Stati specificamente indicati (cioè diversi da Italia, California ed Arizona), e cioè che la provenienza dichiarata da quegli unici tre Paesi – evidentemente ritenti espressivi di particolari qualità e caratteristiche della materia utilizzata, fosse riferibile solo ad una parte della materia prima medesima”.

Il giudice specifica:

“Si deve, pertanto, affermare, con riferimento al delitto di cui all’art. 515 c.p., che le indicazioni circa l’origine, provenienza, qualità o quantità della merce, contenute nel messaggio pubblicitario che abbia preceduto la materiale offerta in vendita della stessa, integra l’ipotesi della ‘dichiarazione’ delle citate caratteristiche della merce, essendo tale pubblicità idonea a trarre in inganno l’acquirente che riceve l’aliud pro alio, per avere la merce caratteristiche diverse rispetto a quanto indicato nel messaggio pubblicitario In tali sensi, pertanto, il messaggio pubblicitario integra la successiva proposta di vendita, sicché nella individuazione delle caratteristiche dichiarate dal venditore della merce deve tenersi conto anche di quanto indicato nel messaggio pubblicitario, che può essere superato solo da una chiara esplicitazione, al momento della vendita, delle diverse caratteristiche della merce venduta con riferimento ai requisiti indicati dall’art. 515 c.p..'”. 

Tre Paesi di produzione e la delibera AGCOM

Non c’è dubbio, insomma, che l’indicazione di soli tre Paesi di produzione del grano faccia parte di una precisa strategia di comunicazione aziendale infedele, piuttosto che a semplice sciatteria ed imprecisione. 

E qui entra in campo la delibera dell’AGCOM all’azienda De Cecco e dell’impegno assunto dalla medesima. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni contestava all’azienda di aver utilizzato una modalità di presentazione della pasta di semola di grano duro a marchio De Cecco con plurimi richiami alla “italianità del prodotto”, ingenerando “nei consumatori l’equivoco che l’intera filiera produttiva della pasta, a partire dalla materia prima, sia italiana, mentre per la relativa produzione viene utilizzato anche grano di origine estera”. 

La delibera dà conto della presenza dell’indicazione della provenienza del grano, conforme alle previsioni del regolamento esecutivo UE sopra richiamato, con la formula “UE e non UE”, cioè la più generica possibile. Ma evidenzia anche che tale indicazione “risulta generalmente collocata sul retro o nella parte inferiore della confezione”, mentre nella parte frontale e con maggiore evidenza vi sono una serie di “vanti relativi alla italianità del prodotto”. In particolare, sulla parte anteriore della confezione, vi è la dicitura “Metodo De Cecco cui segue il claim” secondo la ricetta di oltre 130 anni “accostato al vanto Made in Italy”. Mentre sempre sul retro della confezione, in basso e con caratteri di minori dimensioni, è riportata la dicitura “paese di coltivazione del grano: UE e non UE”

L’articolo UE 775/2018

La normativa comunitaria (art. 2 Reg. Esec. UE 775/2018) sull’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario prevede che, ove tale provenienza non è la medesima di quella indicata per l’alimento, l’indicazione della provenienza dell’ingrediente primario viene fornita o in positivo, cioè indicando una zona geografica secondo un ordine di progressiva specificazione su cui si tornerà, o per esclusione, cioè indicando le zone geografiche da cui non proviene l’ingrediente, secondo il medesimo ordine di progressiva specificazione. Sono previsti 6 livelli di delimitazione della provenienza.

Il primo livello è il più generale e prevede al suo interno un’ulteriore distinzione: si dichiara cioè soltanto se l’ingrediente è prodotto all’interno dell’UE o al di fuori di essa, oppure anche sia all’interno sia al di fuori: “UE”, “non UE”, “UE e non UE”. È chiaro che si tratta della delimitazione meno rilevante, che addirittura equivale alla mancanza di qualsiasi delimitazione nell’ipotesi in cui l’ingrediente primario provenga sia dai Paesi dell’Unione sia dai Paesi estranei: come dire che può provenire da tutto il mondo.

E appunto il caso dell’indicazione contenuta nella confezioni della paste De Cecco, che equivale ad una informazione talmente generica da potersi considerare inesistente.

Le indagini svolte dai Carabinieri del NAS di Latina e di Pescara

Le indagini degli inquirenti e l’analisi della corrispondenza telematica eseguita dal CTPM hanno dimostrato i seguenti elementi: 

L’ordine interno creato dall’ufficio acquisti De Cecco è del 30 gennaio 2020, per 4.575 ton di grano francese; secondo Di Mella l’ordine è stato emesso da Stefano D’Alessio, impiegato dell’ufficio, nell’ignoranza dell’impegno appena assunto con l’AGCOM; in pari data la nave viene caricata dal fornitore CAVAC. Con data 10.02.2020 il Direttore Acquisti Mario Aruffo informa il capo mugnaio Nicola Zanapa ed il Direttore controllo qualità Vincenzo Villani che:

“il Presidente comunica che il grano francese in arrivo ad Ortona il 13.02.2020 dovrà essere considerato come grano pugliese. Saluti” 

Poi arriva un ulteriore ordine interno dell’ufficio acquisti del 13.02.2020, giorno di sbarco della nave, in esecuzione delle disposizioni del Presidente, Stefano D’Alessio riformulava il precedente ordine alla CAVAC come relativo a 4.575 ton di grano pugliese

“il grano francese, riclassificato come italiano su ordine del presidente, era destinato ad alimentare quanto meno una miscela denominata Mix B che, nella composizione in uso alla data della @ del 30 gennaio 2020, era costituita per il 20% di grano del North Dakota (vedi infra, $ 8.1)”.

Secondo il Di Mella a febbraio 2020 la Direzione Marketing stava ultimando la realizzazione della nuova confezione, in ottemperanza con l’impegno assunto con l’AGCOM. Realizzazione completata prima del 26 marzo 2020, con cui la Direzione Marketing informa tutti i dirigenti del nuovo packaging. 

A suo avviso sia il Direttore Acquisti Mario Aruffo sia il Direttore Controllo Qualità Vincenzo Villani, rispettivamente mittente e destinatario della mail del 10 febbraio contenente la “comunicazione” del Presidente Filippo Antonio De Cecco, erano pienamente consapevoli, anche in ragione dei rispettivi ruoli, degli impegni assunti dall’azienda con l’AGCOM e pertanto dell’inerenza della comunicazione sul cambio di provenienza del grano CAVAC alla questione delle informazioni sulla caratteristiche del prodotto. 

I difensori degli indagati contestano tale assunto.

Per gli avvocati la classificazione del grano come pugliese anziché francese aveva la sola finalità di fornire le opportune indicazioni tecniche ai responsabili dell’insilaggio e della miscelazione: quindi un ordine tecnico finalizzato al “trattamento aziendale” del grano, come se si trattasse di quello pugliese, evidentemente ritenuto avere caratteristiche assimilabili.

Altra questione sollevata dalla difesa. All’interno della classificazione del grano pugliese, nella prassi aziendale, è certamente compreso anche il grano lucano e molisano. Inoltre il costo di grano CAVAC è stato maggiore rispetto a quello del grano pugliese. 

Per il Gip tali obiezioni risultano inefficaci a contrastare la fondatezza dell’accusa di frode in commercio. 

Sulla questione del “trattamento aziendale”, il giudice ritiene “che si tratti di una giustificazione pretestuosa, ancorché possa ben essere vero che il grano francese sia stato utilizzato e miscelato ‘al posto’ di quello italiano”. 

A questo punto se il problema fosse stato esclusivamente quello delle procedure tecniche di utilizzo e miscelazione del grano si sarebbe dovuto innanzitutto spiegare quale sia la specifica ragione dell’innovazione della prassi fino ad allora seguita, che abbia richiesto una “comunicazione” del Presidente. Pertanto la questione non avrebbe richiesto l’emissione di un nuovo ordine interno di acquisto dal medesimo fornitore ma un semplice ordine di servizio sulle procedure di miscelazione. 

Di essa non avrebbe dovuto occuparsi l’anziano organo di vertice del gruppo, ma semmai le figure tecniche e dirigenziali competenti e preposte per tali finalità: le quali al contrario non risultano neppure aver potuto interloquire sulla questione, ma semplicemente ricevono dal Direttore Acquisti una “comunicazione” del Presidente, che non ammette repliche.

“In ogni caso – precisa il giudice – quand’anche avessero deciso di avvalersi del grano francese per ragioni commercialmente valide e non incidenti sulla qualità del prodotto finale, avrebbero potuto e dovuto comunicare tale variazione della composizione dei grani, tenuto conto della procedura e degli impegni in corso con l’AGCOM”.

Conferma della presenza in quota cospicua di grani estranei alla provenienza dichiarata dal produttore

Tutto ciò si osserva l’Asso-consum a p. 7 dell’opposizione, le mail scambiate da Aruffo con la segreteria di presidenza e riportate alle pp. 29-31 della consulenza del CTPM ing. Chiulli: 

“alle ore 11:49 del 30 gennaio 2020, nel lamentare i ritardi di caricazione della ‘nave di grano francese’ per problemi meteo, Aruffo afferma che ‘NB attuale miscela 70% USA Arizona, 20% USA North Dakota, 10% naz.le con proteine >15%’ e chiede l’autorizzazione ad utilizzare temporaneamente una miscela 80%-20% rispettivamente di grano dell’Arizona e nazionale con proteine >15%: dunque è un dato documentale che, nella composizione attualmente in uso nel Mix B, vi fosse il 20% di grano proveniente dal North Dakota, estraneo alle comunicazioni aziendali” 

La successiva comunicazione del Presidente evidentemente impone di utilizzare il grano francese “al posto di quello pugliese”: quindi, se come pare si tratta di grano nazionale con proteine >15%, la composizione prevista avrebbe ulteriormente aumentato la quota di grani estranei alle dichiarazioni di provenienza aziendale nel Mix B, fino al 30%. “Se poi esista, come sembra logico, anche un Mix A, quale sia la sua composizione e come vengano riportati ed utilizzati Mix Ae Mix B nella produzione della pasta, sono evidentemente informazioni riservate che solo l’azienda e gli odierni indagati possono conoscere e fornire (ma non lo hanno fatto). Di certo, allo stato, non è sostenibile la tesi secondo cui sia minima e irrilevante la quota di grani estranei, per provenienza, alle dichiarazione impegnative aziendali”. 

Nella stessa direzione potrebbe incidere l’accertato ordinario ricorso a semole molite fuori dagli stabilimenti De Cecco, sull’origine dei cui grani non sono state svolte indagini, le quali invece appaiono di agevole esperimento (anche nella fase del processo), trattandosi di dati tracciati in via documentale, Ne consegue l’ordine di formulazione dell’imputazione, come da dispositivo. 

Il Gip chiede al Pm di formulare nel termine di legge “l’imputazione a carico dei tre indagati sopra generalizzati per il delitto di frode in commercio, commesso in Fara San Martino, quanto meno da aprile a giugno 2020”.

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