La Commissione per la verifica dei titoli al Csm sul caso Davigo si spacca. L’ex pm di Mani pulite il prossimo 20 ottobre compie 70 anni e va in pensione come magistrato.
Le due consigliere togate di Magistratura indipendente, Loredana Micciché e Paola Maria Braggion, hanno votato per la sua decadenza dal Csm. Astenuto, invece, Alberto Maria Benedetti, consigliere laico indicato da M5s.
La palla ora passa al Comitato di presidenza che dovrà stabilire quando la pratica su Davigo andrà al plenum. La decisione dovrà essere presa prima del 20 ottobre.
Perché Davigo deve lasciare?
Contro Davigo si era schierato anche Nello Rossi, ex procuratore aggiunto di Roma già in pensione e, soprattutto, una colonna di Magistratura democratica.
“Davvero si pensa che Piercamillo Davigo possa rimanere in carica al Consiglio Superiore anche quando non sarà più magistrato?” chiede Rossi. E ancora: “L’ibrido di un ‘non più magistrato’ che continua a esercitare le funzioni di componente togato dell’organo di governo autonomo della magistratura non risulterebbe giuridicamente insostenibile e foriero di squilibri e contraddizioni nella vita dell’istituzione consiliare?”.
E, infine, dice: “Si tratta di prendere atto che tra membri togati e membri laici non esiste lo spazio per il tertium genus dell’eletto non più magistrato, metà pensionato e metà consigliere, ormai svincolato dalle regole applicabili ai magistrati in servizio ma investito dei compiti propri del governo autonomo della magistratura”.
“Non eleggibili i magistrati che non esercitano funzioni”
Insomma, per Nello Rossi “Chi è eletto al Consiglio da tutti magistrati in servizio deve essere a sua volta un magistrato in servizio”. Il tutto deriva dalla legge del 24 marzo 1958 (la 195) che ha istituito il Csm. E si legge che “non sono eleggibili i magistrati che al momento della convocazione delle elezioni, non esercitino funzioni giudiziarie”. Legge che fissa la distinzione, per la provenienza delle 16 toghe (diventeranno 20 con la prossima legge sul Csm), tra magistrati “che esercitano le funzioni di legittimità, di pubblico ministero e di giudice presso gli uffici di merito”. Chiosa Rossi: “Il possesso – effettivo ed attuale – dello status di magistrato nell’esercizio delle funzioni è dunque un requisito indispensabile perché sussista la capacità elettorale passiva; e ciò in coerenza con le disposizioni costituzionali che regolano la provvista dei membri togati del Consiglio Superiore”.
“Ora è possibile, o meglio è concepibile, che il venir meno dello status che (solo) ha consentito l’elezione al Consiglio del componente togato sia considerato irrilevante ai fini della permanenza in carica di chi non è più magistrato? Ed è concepibile che – una volta cessata l’appartenenza all’ordine giudiziario su cui si radica l’elettorato passivo e su cui poggia la rappresentatività stessa del componente togato – chi non appartiene più alla magistratura possa continuare ad esercitare le funzioni di amministrazione della giurisdizione e quelle di giudice disciplinare?”.
È evidente che la risposta è no. “La cessazione dello status di magistrato – sia essa l’effetto di una scelta volontaria, come nel caso delle dimissioni dalla magistratura, di una situazione di natura oggettiva come avviene per il collocamento in quiescenza o di una sentenza penale di condanna – determina la perdita del requisito, indispensabile, della capacità elettorale passiva e produce di conseguenza l’automatica decadenza dalla carica di consigliere superiore”.
Davigo e il caso Palamara
Secondo Rossi, però, il pensionamento di Davigo s’intreccerebbe anche con il caso Palamara. E con Davigo tra i suoi “giudici” visto che la sezione disciplinare ha rigettato la richiesta di una sua astensione presentata dallo stesso Palamara. Un “non più magistrato ma ancora consigliere togato”, si chiede Rossi, potrebbe giudicarlo ed emettere una sentenza? La risposta del direttore di Questione giustizia è un “no” bello tondo. Perché, scrive Rossi, “un ex magistrato – e tale è, a tutti gli effetti, chi viene collocato in quiescenza – non è più soggetto alla giurisdizione disciplinare. La giustizia disciplinare può essere esercitata esclusivamente nei confronti dei magistrati in servizio, siano essi esercenti funzioni giudiziarie o collocati temporaneamente fuori ruolo”.
E quindi, conclude Rossi, “il componente del Consiglio superiore ‘pensionato’ si troverebbe in una posizione del tutto anomala ed eccentrica sia rispetto ai consiglieri togati del Consiglio, sia rispetto alla generalità dei magistrati”. I quali, se fanno parte del Csm, “incorrono di diritto nella decadenza dalla carica se riportano una sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento”.