David Rossi morì il 6 marzo 2013. Il capo della comunicazione della banca Monte dei Paschi di Siena, volò dalla finestra del suo ufficio e venne trovato cadavere sulla strada di Rocca Salimbeni. Sono quasi 9 anni che si cerca la verità, tra depistaggi e inchieste fatte male.
Il 19 febbraio 2013 la Guardia di Finanza entra sia nell’ufficio di David Rossi che nella sua abitazione. I militari perquisiscono anche l’ex presidente e l’ex direttore generale di Rocca Salimbeni, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. Rossi, tuttavia, non era indagato. Erano però in corso delle indagini intorno all’acquisizione della Banca Antonveneta.
L’8 novembre del 2007, infatti, il Monte dei Paschi di Siena annuncia di aver raggiunto un accordo con Banco Santander per l’acquisto di Banca Antonveneta per 9 miliardi di euro. Dall’operazione è esclusa la controllata Interbanca che rimane di proprietà della banca spagnola. A fine aprile 2013 Banca Antonveneta viene completamente assorbita dal Monte dei Paschi, che a norma di legge subentra all’ex controllante ABB nel finanziamento di un passivo che al 2011 ammontava a 18 mld, dei quali 15 relativi a diritti vantati da terzi.
Le indagini sull’acquisizione della Banca iniziano a Siena nel 2012 con il supporto del Nucleo Valutario della Gdf.
Si parla di maxi tangenti al Pd, fondi neri dello Ior e conti correnti segreti. Ma l’inchiesta si concentra più precisamente su questioni finanziarie, soprattutto sulle modalità con cui era stato fatto un aumento di capitale per l’acquisizione di banca Antonveneta dal Santander e sulle modalità con cui i bilanci successivi erano stati abbelliti proprio per evitare che si capisse che l’acquisto non era stato così redditizio. I derivati Alexandria e Santorini facevano infatti “scattare” il pagamento della cedola agli azionisti, ma poi aumentavano il conto dei debiti, calcolando il mark to market di quel periodo.
Le condanne
A novembre 2019 il tribunale di Milano condanna l’ex presidente Mps Giuseppe Mussari a una pena di 7 anni e 6 mesi nell’ambito del processo su una serie di operazioni finanziarie realizzate dalla banca senese per coprire proprio quelle perdite provocate dall’acquisto di Antonveneta. Sei anni e 3 mesi di reclusione, invece, all’ex dg Antonio Vigni, a cui si aggiungono per entrambi 2 anni di interdizione dai pubblici uffici. I reati, a vario titolo, sono di aggiotaggio, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza.
L’affare Antonveneta
A far davvero lievitare i costi dell’affare Antonveneta erano stati però i crediti inesigibili in pancia alla banca padovana, in difficoltà a causa della crisi finanziaria di quel periodo. I debiti che quindi Mps si ritrovò per via di Antonveneta salirono a 17 miliardi, tra acquisto e passività ereditate.
L’accusa rivolta ai vertici è stata, a questo proposito, di non aver realizzato a suo tempo una due diligence che avrebbe mostrato prima dell’acquisto la reale situazione di Antonveneta. Da qui le narrazioni di quella mitica notte in cui Mussari decise di chiudere l’affare in poche ore rilanciando sull’offerta di Bnp Paribas, che aveva messo sul piatto 8 miliardi.
A occuparsi delle vicende del Fresh (su Antonveneta) e dei derivati Alexandria e Santorini è stata la procura di Milano, dove l’inchiesta è stata trasferita dopo qualche anno per competenza sui reati finanziari. I legali dei condannati hanno tutti annunciato l’appello. Un’indagine che si incrocia con il fascicolo d’inchiesta relativo alla morte di David Rossi.
I festini
Spuntano, tra le altre cose, presunti festini che avrebbero riguardato una sorta di “mondo di mezzo” senese, costituito dai “potenti” di Siena e di Roma, tutti d’accordo per non far uscire la verità essendo frequentatori delle stesse feste segrete.
“Stefano”, l’escort omosessuale intervistato dalle Iene, raccontava di essersi prostituito nel corsp di festini a base di coca e sesso, gay ed etero, nei dintorni di Siena, nel periodo 2012/2013. A quei party avrebbero partecipato importanti uomini dell’establishment senese ed in particolare magistrati e appartenenti alle forze armate. Pierluigi Piccini, ex dirigente del Monte dei Paschi ed ex sindaco di Siena, riferisce di festini a base di sesso e droga. “Io ho solo riportato voci che mi ha raccontato qualcuno, mi sembra un avvocato romano, e anche queste circolano da tempo in città” riferisce Piccini. “Non sono novità, almeno per noi senesi. Nel 2013 durante un’assemblea del Monte dei Paschi un consigliere comunale parlò pubblicamente di personaggi orgiastici e pervertiti”.
Due giorni prima di morire, Rossi manda una mail a un alto dirigente di Monte dei Paschi avvertendolo che avrebbe raccontato tutto ai magistrati.
I festini di cui parla l’escort si sarebbero svolti nelle campagne toscane, nei dintorni di Siena e in altre città d’Italia. L’obiettivo di queste cene era quello di “intrattenere degli ospiti di alto profilo che avevano una certa importanza per le persone che organizzavano queste feste”. Tra i partecipanti c’erano personaggi come un ex dirigente della Banca Monte dei Paschi, un sacerdote con un incarico di rilievo nella Diocesi, diversi magistrati, un politico, un giornalista e persino un ex Ministro. Tutte persone che l’escort conosce. “Ho guadagnato cifre da capogiro: fino a 10.000 euro in due o tre giorni di incontri” riferisce l’escort.
L’ipotesi, insomma, è che sulla vicenda di Rossi sia calato un muro di omertà per via di una pseudo massoneria che avrebbe stretto un patto per non far conoscere la verità. Tant’è che nel luglio 2017 il gip dispone l’archiviazione del fascicolo d’indagine aperto con l’ipotesi di reato d’istigazione al suicidio, accogliendo la richiesta avanzata dalla procura senese e respingendo così l’opposizione avanzata – nel novembre 2015 – dai legali della famiglia Rossi, da sempre convinti che non si sia trattato di suicidio. È la seconda archiviazione in questa vicenda: una prima indagine si era chiusa nel marzo 2014. E arriva un ulteriore colpo di scena: la procura di Genova, che indagava sulle rivelazioni dell’ex sindaco Piccini, convinto del fatto che qualcuno avesse agito per insabbiare o ostacolare l’inchiesta, archivia il fascicolo.
Ma quali sono i dubbi e i fatti che hanno portato a credere che la magistratura abbia svolto indagini superficiali?
1. L’inquinamento della scena.
La commissione d’inchiesta parlamentare scopre, grazie alle rivelazioni dell’ex comandante provinciale dei carabinieri di Siena, Pasquale Aglieco, che i tre pm – Nicola Marini (di turno), Aldo Natalini (l’altro collega che si occuperà delle indagini), e Antonino Nastasi (titolare del fascicolo sulle malversazioni della banca) – hanno alterato la scena del delitto. “Nastasi si è seduto sulla sedia di Rossi e ha acceso il computer”; “i pm hanno rovesciato sulla scrivania il cestino coi fazzoletti insanguinati e i biglietti strappati”; “Nastasi rispose a una chiamata di Daniela Santanché sul telefono di Rossi”.
2. I bigliettini strappati.
Scritti da Rossi, spiegherebbero il suo suicidio. Secondo una perizia calligrafica, il manager potrebbe però averli compilati sotto costrizione. Federica Romano, assistente capo della polizia scientifica racconta di averli trovati “in un libro”, dove “li avevano ricomposti i magistrati”.
3. I fazzolettini.
Sono sporchi di sangue e verranno sequestrati solo giorni dopo il sopralluogo. Ne verrà disposta la distruzione dal pm Aldo Natalini, prima della seconda archiviazione dell’indagine, senza che nessuno, mai, analizzi il Dna.
4. Il video sparito.
Altra scoperta della Commissione: Federico Gigli e Livio Marini, poliziotti della volante intervenuta per prima, girarono un video della scena: la finestra era aperta. Il video però sparisce dagli atti. La Scientifica trova la finestra chiusa. È davvero caduto dal secondo piano?
5. L’orologio.
Dalle indagini difensive della famiglia Rossi, che non ha mai accettato la versione del suicidio, emergono molti elementi anomali: le contusioni sul corpo di David, il segno dell’orologio sul polso come se qualcuno lo avesse tenuto appeso, lo stesso orologio (ritrovato a distanza dal corpo) che da un video sembra volare dalla finestra minuti dopo la caduta, un uomo mai identificato che compare nelle telecamere che inquadrano il vicolo. E infine nessuno dispone l’acquisizione dei tabulati telefonici per capire chi era al Monte dei Paschi quella notte.
6. La perizia informatica.
Qualcuno tentò di inviare due mail dal Blackberry di David Rossi, dopo la sua morte. Un’analisi informatica disposta dalla Procura di Genova nel 2020 accerta adulterazioni dei telefoni del manager: “Emergono numerose cancellazioni di messaggi e chiamate”, “oltre 300”. Da uno solo dei due cellulari sono stati eliminati “59 sms su 64”.
7. I festini, appunto.
8. La pista finanziaria.
Nel cellulare di Rossi, dopo la sua morte, sembra esserci una chiamata in uscita al numero 4099009. La Tim dà una spiegazione tecnica: sarebbe in realtà il dirottamento di una chiamata in entrata. Gli avvocati della famiglia non hanno mai creduto a questa versione. Nel 2019 la Procura di Siena ha riaperto indagini su un certificato di fondi al portatore che collegherebbe il sistema delle sponsorizzazioni sportive, gestito da David Rossi, alla Lega. Gli accertamenti non danno esito.
9. il testimone e lo ior.
Tre anni dopo la morte di Rossi un sedicente Antonio Muto si presenta all’ex avvocato della famiglia Rossi, Luca Goracci. Dice di aver mancato un appuntamento con Rossi il 6 marzo del 2013, di averlo trovato già morto, e di essere stato aggredito da tre sconosciuti armati. Due settimane dopo Report intervista Antonio Muto, imprenditore calabrese collegato a vicende di clan radicati a Mantova, indebitato con Mps. La coincidenza stupisce Goracci: non è la stessa persona da lui incontrata. Nello studio di David Rossi viene trovato il numero di cellulare dell’ex presidente della Banca Vaticana Ettore Gotti Tedeschi, mai sentito dai pm. Probabilmente sarà tra i prossimi testimoni convocati dalla Commissione, insieme all’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari.
10. Giancarlo Pittelli.
L’ex parlamentare di Forza Italia, indagato nell’inchiesta Rinascita Scott e arrestato nuovamente pochi giorni fa su richiesta del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, parla di David Rossi in un’intercettazione: “Non si è suicidato, è stato ucciso. Se riaprono l’indagine sulla morte di Rossi succederà un grosso casino… Se si sa chi lo ha ammazzato”.
Per tutti questi fatti è stata chiesta ed ottenuta una commissione parlamentare d’inchiesta che in 5 mesi ha dato risposte concrete.
Intanto con l’ausilio di un laser scanner sono state ricostruite le condizioni del 6 marzo 2013, quando David Rossi morì. Tre sono le altre perizie disposte: quella sul traffico telefonico, affidata ai Ros per risolvere il giallo della telefonata con risposta o meno della Santanché, fatta a Rossi dopo la sua morte; quella sul materiale informatico in dotazione all’ex manager; una perizia medico legale affidata ad un collegio di esperti.
In totale 50 i quesiti ‘non suggestivi’ affidati dalla Commissione di inchiesta ai reparti speciali dei carabinieri. “In particolare abbiamo chiesto di simulare sia l’ipotesi del suicidio sia quella della defenestrazione”, ha sempre sottolineato il presidente della Commissione Zanettin.
Ma la vicenda si tinge ancora una volta di oscuro. I tre pm di Siena che hanno indagato su Mps e su David Rossi, hanno nominato un avvocato. Il professionista ha il compito di tutelare i giudici dalle indagini della commissione parlamentare d’inchiesta che sta approfondendo le circostanze della morte di Rossi. Insomma, i giudici vogliono difendersi dalla Commissione: perché?
Nel corso dell’audizione di alcuni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, chiamati a chiarire cosa avvenne nelle ore immediatamente successive alla morte di Rossi, il presidente della commissione, Pierantonio Zanettin, ha fatto sapere di aver ricevuto una lettera dell’avvocato Andrea Vernazza, all’interno della quale si contesta in particolare il comportamento di tre commissari e la scelta di nominare nuovi consulenti. Vernazza è stato incaricato di contestare l’andamento delle indagini proprio dai tre pm. I magistrati erano a Siena la notte del 6 marzo 2013, Aldo Nadalini, Antonio Nastasi e Nicola Marini. E la commissione non l’ha presa bene: nelle prossime ore potrebbe chiedere al presidente della Camera Roberto Fico di muoversi per tutelare i commissari (e i deputati).