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Csm, l’ennesimo terremoto: la “Loggia Ungheria” di magistrati e politici

Csm, l'ennesimo terremoto: la "Loggia Ungheria" di magistrati e politici

Si parla di una loggia segreta denominata "Ungheria" in grado di condizionare le nomine dei magistrati al Csm e nelle varie Procure

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Ennesimo terremoto all’interno della magistratura. Una vera e propria spy story che travolge, ancora una volta, il Csm, già colpito dalle vicende giudiziarie riguardanti il ‘sistema Palamara’.

Il caso che coinvolge il Csm nasce dai quattro interrogatori ai quali era stato sottoposto a fine 2019 Piero Amara, l’avvocato siciliano arrestato nel 2018, indagato per i depistaggi dell’inchiesta Eni e per vari episodi di corruzione di giudici, 2 anni e 8 mesi di patteggiamento, coinvolto anche nelle vicende che vedono indagato l’ex pm di Roma Luca Palamara.

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I fatti

Amara viene sentito nel dicembre 2019 dall’aggiunto Laura Pedio e dal sostituto Paolo Storari nell’ambito delle indagini sui depistaggi nel processo Eni-Nigeria. Nei verbali Amara parla dei suoi rapporti con politici, imprenditori e magistrati, che avrebbero chiesto aiuto per ottenere promozioni. In quei verbali “segretati”, cioè non depositati dai pm milanesi in alcun procedimento, c’è anche il nome dell’ex premier Giuseppe Conte, con Amara che rivela di essere membro di una presunta loggia massonica, chiamata ‘Ungheria’, di cui farebbero parte numerose toghe, tra cui l’ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita, membro della ‘corrente’ davighiana Autonomia & Indipendenza.

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Quei verbali finiscono a giornali e ad altri magistrati. In particolare il plico contenente le parole di Amara finisce nell’ottobre 2020 a giornalisti del Fatto Quotidiano e di Repubblica: entrambi i quotidiani informano della vicenda rispettivamente la Procura di Milano e di Roma, pensando di essere finiti al centro di una attività di dossieraggio.

Liana Milella e Antonio Massari, i giornalisti che ricevono il plico anonimo, non sanno ancora che nell’aprile 2020 quegli stessi verbali sono finiti nelle mani di Piercamillo Davigo, ormai ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura, consegnati dal sostituto Paolo Storari. Un gesto che rientra nella divergenza di vedute tra Storari e gli altri magistrati milanesi, col primo che spingeva per iscrizioni nel registro degli indagati e Greco, De Pasquale e Pedio che non lo ritenevano opportuno.

Davigo che al Corriere della Sera ha confermato di aver ricevuto quei verbali e di non aver violato il segreto perché “non opponibile ai componenti del Csm. E io ho subito informato chi di dovere”, pur non spiegando chi sia la persona informata.

Verbali ai giornali

A spedire i verbali ai giornali, secondo quanto scoperto dalla Procura di Roma, sarebbe stata Marcella Contrafatto, impiegata del Csm nella segreteria dell’allora consigliere Davigo, ora indagata per calunnia. La donna è stata perquisita a casa e in ufficio due settimane fa dai pm che nel computer hanno trovato copie degli atti spediti.

Il verbale è finito anche ad un secondo membro del Csm, il togato Nino Di Matteo.

A dirlo è stato lo stesso ex pm di Palermo nel Plenum del Csm del 28 aprile, annunciando che nei mesi scorsi aveva ricevuto un “plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell’interrogatorio di un indagato risalente al dicembre 2019 dinanzi a un’Autorità giudiziaria”. Nella lettera che accompagnava il faldone, ha spiegato Di Matteo, “quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto”. “Nel contesto dell’interrogatorio – aggiungeva Di Matteo – l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria, se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo” (ovvero Ardita).

L’ex pm ha quindi spiegato di aver subito contattato la Procura competente, cioè quella di Perugia, per riferire i fatti. Il suo timore, infatti, era che “tali dichiarazioni e il dossieraggio anonimo” potessero “collegarsi a un tentativo di condizionamento” dell’attività di Palazzo dei Marescialli.

E sull’intricata vicenda sta effettivamente indagando la procura guidata da Raffaele Cantone. L’ipotesi è quella dell’esistenza di una loggia, la già citata ‘Ungheria’, che col coinvolgimento di alcuni pezzi del Paese avesse l’obiettivo di condizionare le nomine non solo nella magistratura ma anche in altri settori.

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