Una lettera accorata che chiede alle istituzioni europee di tenere la guardia alta sulle indagini in corso. I familiari delle vittime da covid scrivono a Ursula Von der Leyen e alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
“Bergamo e Brescia hanno contato undicimila vittime di coronavirus. Uno scenario drammatico e senza precedenti sull’intero pianeta. Vi scriviamo per chiedere la vostra supervisione sulle indagini in corso in Lombardia, che stanno seguendo centinaia di denunce legali presentate ai pubblici ministeri in tutta la regione. In Lombardia, sembrano esserci segni di indicibili crimini contro l’umanità”.
Occhio vigile
“Come parenti delle vittime vi sollecitiamo a supervisionare le indagini in corso sull’epidemia di coronavirus in Italia, con un occhio vigile sulle potenziali violazioni di alcuni articoli inclusi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, se deliberate decisioni politiche hanno violato il diritto alla vita di migliaia di membri delle nostre comunità (art. 2); il diritto all’integrità fisica e psicologica dei nostri anziani (art. 3); insieme al diritto alla loro dignità umana (art. 1), oltre che l’art. 32 della Costituzione Italiana”.
Il racconto della drammatica vicenda che il comitato ha inviato a Von der Leyen e Spano
“Il 2 marzo e il 5 marzo l’Istituto Nazionale della Sanità ha consigliato al governo di chiudere Alzano Lombardo, Nembro in provincia di Bergamo e Orzinuovi (Brescia). Il prudente sindaco di Orzinuovi e senatore della Repubblica (Gianpietro Maffoni, eletto con il centrodestra, ndr) ha dovuto presentare una interrogazione parlamentare dopo essere venuto a scoprire, leggendo il giornale, che c’erano istruzioni specifiche relativamente alla chiusura preventiva della sua città dopo i primi casi riportati. Sembra tuttavia che queste istruzioni non le abbia mai ricevute. Allo stesso tempo, Alzano Lombardo e Nembro non furono mai chiuse nonostante l’esercito fosse pronto a ricevere la direttiva sull’applicazione della zona rossa”.
Le indagini
Le indagini sono condotte dalla procura di Bergamo e coordinate dalla procuratrice aggiunta Maria Cristina Rota. L’inchiesta, al momento, ha portato ad ascoltare nelle scorse settimane il premier Conte, i ministri Lamorgese e Speranza, il governatore Fontana e l’assessore regionale Gallera. Si tenta di ricostruire chi prese quelle decisioni e perché. “Se i pubblici ministeri dovessero stabilire che le mancate zone rosse appartengono alla sfera della politica piuttosto che al diritto penale, risulterà chiaro come la decisione di non contenere la diffusione del virus, in accordo con i pareri della comunità scientifica, sia stata intenzionale: una decisione deliberata di sacrificare vite umane, decine di migliaia di vite, per evitare le ripercussioni politiche derivanti dalla messa in sicurezza di tre città economicamente produttive del Nord Italia”, scrivono ancora i 34 firmatari della lettera.
Che continua: “Uno scenario ancora peggiore emergerebbe se il pool di consulenti scientifici nominati dal Tribunale di Bergamo (tra loro c’è anche il virologo Andrea Crisanti, che ha avuto un ruolo importante nella gestione dell’epidemia del focolaio veneto, ndr) potesse dimostrare mediante analisi epidemiologiche che l’intero Paese dovette essere bloccato a causa dei ritardi delle autorità politiche nel prendere una decisione sul destino di queste tre città. Un blocco nazionale che ora sta causando ulteriori incertezze finanziarie in un’economia già stagnante”.
Ci sono quindi decisioni multiple che si sono incrociate.
Quelle del governo e quelle della Regione Lombardia: “Il virus ha decimato i nostri anziani nelle case di cura, gli stessi anziani che hanno costruito la prosperità del nostro paese dopo la seconda guerra mondiale. Lo ha fatto in parte grazie a una direttiva regionale approvata l’8 marzo che suggeriva agli ospedali di trasferire i pazienti con coronavirus a basso rischio in case di cura per liberare alcuni letti e far fronte alla incessante domanda durante tutta l’emergenza. Tale direttiva è stata approvata in totale contraddizione con i dati scientifici a disposizione delle autorità pubbliche, che mostravano chiaramente come il virus si stesse dimostrando letale, in particolar modo per i membri più anziani e più vulnerabili della nostra società.
A Bergamo, il 32,7% degli ospiti nelle case di cura ha perso la vita durante i primi quattro mesi dell’anno.
Mentre 1.600 è il numero riportato nell’intera provincia di Brescia, solo nelle case di cura per anziani. Il governo della Regione Lombardia afferma di non poter essere ritenuto responsabile di questo massacro. Le case di cura non avrebbero dovuto accogliere i pazienti con coronavirus a basso rischio nelle loro strutture senza attuare le direttive sulla sicurezza dei loro ospiti che le autorità sanitarie locali competenti avrebbero dovuto avere il compito di stabilire. Sempre la Regione Lombardia ha emanato la delibera n° XI / 2986 del 23/03/2020, attraverso la quale è stato impedito ai medici di base di intervenire a visitare i pazienti non ospedalizzati qualora presentassero sintomi riportabili al virus covid-19, lasciando un monitoraggio esclusivamente telefonico.
Questa delibera era stata pensata utilizzando il pretesto di evitare la diffusione del virus, ma in molti hanno l’impressione che si volesse utilizzare per coprire il fatto che i medici erano stati lasciati senza dpi (i dispositivi di protezione come guanti, mascherine e camici, ndr), i quali avrebbero dovuto essere forniti proprio dalla Regione. Ci sembra che con tale delibera si sia violato l’art. 32 della Costituzione Italiana, ben sapendo che l’intervento tempestivo dei medici su pazienti che presentavano le prime avvisaglie di Covid avrebbe potuto contenere i ricoveri ospedalieri e il collasso delle terapie intensive. Alla luce di questi fatti ha anche senso presumere che l’intervento della medicina preventiva dei medici di medicina generale sul territorio avrebbe potuto contribuire ad evitare il collasso delle strutture ospedaliere deputate alla medicina di cura”.
Torna, a questo punto, lo scontro, il rimpallo di responsabilità tra governo centrale e locale:
“Allo stesso tempo, la Regione Lombardia sostiene che spettava al governo centrale dichiarare la zona rossa ad Alzano Lombardo, Nembro e Orzinuovi. Al contrario, il governo centrale afferma che anche la regione Lombardia avrebbe potuto farlo se lo avesse voluto, addirittura avrebbero potuto intervenire direttamente i sindaci, in base alla legge 833/78, art. 32. Il rimpallo delle responsabilità a cui stiamo assistendo ci fa comprendere come sia ragionevole pensare che possano sussistere prove di illeciti per i quali nessuno vuole essere ritenuto responsabile. Lasceremo che i pubblici ministeri stabiliscano se tali illeciti rientrano nel diritto penale o si limitano alla sfera politica. Nel frattempo, i parenti delle vittime cercano giustizia. E lo fanno consapevoli del fatto che l’Italia è un paese in cui l’establishment politico è particolarmente abile nell’insabbiare inchieste e creare capri espiatori”.