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Covid e repressione: il rapporto di Amnesty che ricorda cosa è accaduto

Covid e repressione: il rapporto di Amnesty che ricorda cosa è accaduto

Sono passati tre anni dal primo lockdown e tanti interrogativi rimangono ancora senza risposta. Covid e repressione.

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Sono passati tre anni dal primo lockdown e tanti interrogativi rimangono ancora senza risposta. L’11 marzo 2020 rappresenta una data storica: il governo con un dpcm impone ai cittadini una “autocertificazione” per uscire di casa.

Covid. Una autocertificazione obbligatoria per spostarsi per lavoro, salute o per fare la spesa. All’improvviso tutti gli italiani si ritrovano per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, il coprifuoco. Nei giorni a seguire, vengono chiuse le scuole, viene impedito di sposarsi. Vengono chiusi bar, ristoranti negozi, palestre, piscine, cinema, teatri, musei, discoteche e stazioni sciistiche. Annullati i funerali, ogni manifestazione sportiva, sospesi gli esami per la patente. 

Vengono sollevati dei dubbi sul carattere costituzionale delle norme imposte. E una informazione critica viene addirittura censurata dai colossi del web, Google e Facebook tra i primi.

Il rapporto di Amnesty International

Giovedì 17 dicembre 2020, Amnesty International denuncia come in almeno 60 stati le violenze delle forze di polizia e l’eccessiva delega a queste ultime per attuare le misure di contrasto alla pandemia da Covid-19 abbiano causato violazioni dei diritti umani. In alcuni casi peggiorato la crisi sanitaria.

In nome della lotta alla pandemia, si legge nel rapporto dell’organizzazione per i diritti umani, persone sospettate di aver violato le misure di contenimento o che protestavano per le condizioni di detenzione sono state ferite o uccise.

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In Iran, le forze di polizia hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni per stroncare le proteste nelle carceri, uccidendo e ferendo parecchi detenuti. In Kenya, solo nei primi cinque giorni di coprifuoco, le forze di polizia hanno ucciso almeno sette persone e hanno costretto altre 16 al ricovero in ospedale.

Limitazioni ai diritti umani che durante una pandemia possano essere giustificate per proteggere la salute pubblica e per altre urgenti necessità. Ma molti governi sono andati ben oltre quelle che possono essere considerate misure ragionevoli e giustificate.

Durante la pandemia, in ogni parte del mondo le forze di polizia hanno ampiamente violato il diritto internazionale ricorrendo a una forza eccessiva e innecessaria per far rispettare il lockdown e il coprifuoco. Col pretesto di contrastare la diffusione della pandemia, in Angola un ragazzo è stato ucciso per aver violato il coprifuoco e in El Salvador un uomo è stato ferito alle gambe mentre era uscito di casa per andare a comprare qualcosa da mangiare”, ha dichiarato Patrick Wilcken, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International.

Il mantenimento dell’ordine pubblico è un elemento fondamentale per proteggere la salute e la vita delle persone. Ma l’eccessivo affidamento a misure coercitive per applicare le limitazioni per motivi di salute pubblica sta facendo peggiorare la situazione. Il profondo impatto della pandemia sulla vita delle persone richiede che le forze di polizia agiscano nel pieno rispetto dei diritti umani”, ha aggiunto Wilcken.

Anziché contenere la diffusione del Covid, gli arresti, gli imprigionamenti, l’uso della forza e lo sgombero violento delle manifestazioni hanno accresciuto i rischi di contagio, sia per gli agenti delle forze di polizia che per coloro che hanno subito le conseguenze delle loro azioni.

Pestaggi e uccisioni

Il rapporto di Amnesty International esamina leggi e politiche attuate dalle forze di polizia e i comportamenti di queste ultime e di altre agenzie incaricate del mantenimento dell’ordine pubblico. Numerosi gli esempi di abusi ed eccessi di potere falsamente giustificati in nome della protezione della salute pubblica.

In molti stati le operazioni di polizia relative alla pandemia hanno causato morti e feriti, in particolare durante i controlli per il rispetto del lockdown e del coprifuoco. Prendendo a pretesto la pandemia per reprimere il dissenso, un po’ ovunque vi sono stati arresti di massarimpatri illegalisgomberi forzati e repressioni violente di manifestazioni pacifiche.

In Sudafrica le forze di polizia hanno sparato proiettili di gomma contro persone che “vagabondavano” in strada durante il primo giorno di lockdown. In Cecenia, alcuni agenti hanno aggredito e preso a calci un uomo che non indossava la mascherina. Mentre in Angola, tra maggio e luglio, sono stati uccisi almeno sette giovani.

Arresti e imprigionamenti

Amnesty International ha documentato come le forze di polizia abbiano arrestato e imprigionato persone accusate di aver violato la quarantena, trasgredito al divieto di spostarsi da un luogo all’altro, tenuto riunioni, preso parte a manifestazioni pacifiche e criticato la risposta del governo alla pandemia. In nessun caso si è trattato di motivi che giustificassero un arresto.

Nella Repubblica Dominicana, tra il 20 marzo e il 30 giugno, le forze di polizia hanno arrestato circa 85.000 persone accusate di aver violato il coprifuoco.

In Turchia, tra marzo e maggio, 510 persone sono state arrestate e interrogate per aver scritto “post provocatori sul coronavirus”, in evidente violazione del diritto alla libertà d’espressione.

Discriminazioni

In numerosi stati le forze di polizia hanno mostrato un’attitudine discriminatoria e razzista nell’applicazione delle norme sul Covid-19. Rifugiati, richiedenti asilo, lavoratori migranti, persone Lgbt o di genere non conforme. Lavoratori e lavoratrici del sesso, persone senza dimora e altre a rischio di esserlo sono tra i gruppi marginalizzati che sono stati presi particolarmente di mira.

In Slovacchia, durante la quarantena, le forze di polizia e l’esercito hanno isolato gli insediamenti rom, contribuendo ad alimentare lo stigma e il pregiudizio che quelle comunità già subivano. L’aggressiva applicazione delle norme per il contrasto alla pandemia ha causato sgomberi forzati, privando persone già marginalizzate di un luogo dove potersi proteggere dall’emergenza sanitaria.

In Francia, tra marzo e maggio, i volontari di “Osservatori sui diritti umani” hanno documentato 175 casi di sgombero forzato di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nella zona di Calais.

Limitazioni manifestazioni

Molti stati hanno usato la pandemia come pretesto per introdurre leggi e prassi che hanno violato i diritti umani e ridotto le garanzie in materia. Ad esempio le limitazioni innecessarie ai diritti alla libertà di manifestazione pacifica e alla libertà d’espressione.

In Etiopia, nella Zona di Wolaita, almeno 16 persone sono state uccise dalle forze di polizia per aver protestato contro l’arresto di dirigenti e attivisti locali accusati di aver manifestato in violazione delle limitazioni adottate per il contrasto alla pandemia.

Il diritto internazionale sui diritti umani prevede che determinate limitazioni al diritto alla libertà di manifestazione pacifica possano essere adottate per proteggere la salute pubblica o altri interessi legittimi. Deve però trattarsi di misure disposte per legge, necessarie e proporzionali rispetto a un obiettivo specifico.

In molti dei casi documentati da Amnesty International, invece, le limitazioni sono andate ben oltre: attraverso, ad esempio, il divieto assoluto di manifestare, l’uso della forza contro i manifestanti pacifici o il divieto o la limitazione di manifestare mentre altri eventi uguali aventi la medesima partecipazione venivano consentiti in zone diverse.

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