Sono finiti nella rete della corruzione imprenditori, faccendieri, criminali e pubblici ufficiali. Tutti avevano un unico obiettivo: gestire affari sporchi tra la capitale e il capoluogo pontino.
L’idea era quella di commercializzare vetro per poi collezionare reati fiscali, tributari, fallimentari. Non solo. La “banda” ha messo in atto estorsioni aggravate dal metodo mafioso, intestazioni fittizia di beni, falso, corruzione. E ancora. Riciclaggio, accessi abusivo a sistemi informatici, rivelazioni di segreto d’ufficio, favoreggiamento reale, turbativa d’asta e, infine, sequestro di persona e detenzione e porto di armi da fuoco.
Arrestato il colonnello dell’Arma
L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma ha ordinato 11 misure cautelari e sequestrato 4 società attive proprio nella commercializzazione del vetro. Tra gli arrestati c’è Alessandro Sessa, colonnello dell’Arma, in passato comandante della compagnia carabinieri di Latina poi, una volta approdato al Noe, coinvolto nel caso Consip.
L’inchiesta della DDA
L’inchiesta, chiamata “Dirty glass”, ha scoperto “una qualificata rete di relazioni” attraverso cui gli indagati, in larga parte imprenditori della provincia di Latina e altri di origini campane, avrebbero gestito le proprie attività commerciali realizzando profitti illeciti. Sarebbero stati acquisiti asset distratti da società commerciali in dissesto, dalla turbativa di procedimenti di esecuzione e da attività di riciclaggio di proventi di attività delittuose. La squadra mobile di Latina ha fatto luce sulla commistione di dipendenti pubblici con gli indagati, che gli inquirenti definiscono sistematico, per consentire agli altri indagati di mandare avanti il sistema illecito. Uomini dello Stato come Sessa, un poliziotto e un ex comandante della stazione dell’Arma di Sezze, che avrebbero acquisito informazioni coperte da segreto d’ufficio e “strumentali a proteggere le imprese criminali da eventuali indagini di polizia giudiziaria”.
Rapporti con la criminalità organizzata
Gli indagati si sarebbero relazionati con appartenenti al mondo della criminalità organizzata, in particolare per risolvere eventuali contrasti con altri imprenditori, “avvalendosi della forza di intimidazione, derivante dall’appartenenza di tali soggetti a clan autoctoni di natura mafiosa nel territorio di Latina”. Molti del resto i punti di contatto tra l’inchiesta ‘Dirty glass’ e le indagini sul clan di origine nomade Di Silvio.
Il principale indagato
Si tratta dell’imprenditore Luciano Iannotta già con diversi precedenti alle spalle e da tempo al vertice in provincia di Latina della Confartigianato. Oltre a Iannotta, tra l’altro anche presidente del Terracina Calcio, in carcere sono stati messi altri personaggi.
- L’imprenditore Luigi De Gregoris, 48 anni, impegnato anche nel porto di Sperlonga con società più volte oggetto di indagini;
- Natan Altomare, 44 anni, già coinvolto nell’inchiesta sulla criminalità rom denominata ‘Don’t touch’ che dopo essere stato per un periodo il braccio destro di Iannotta ci è entrato in rotta di collisione
- Pasquale Pirolo, 71 anni.
- Ai domiciliari, invece, oltre al colonnello Sessa, l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Sezze, il maresciallo Michele Carfora Lettieri, Antonio e Gennaro Festa, 61 e 35 anni, e Thomas Iannotta, 25 anni, figlio di Luciano. Divieto di dimora in provincia di Latina infine e sospeso dal pubblico ufficio il poliziotto Stefano Ivano Altobelli, di Sonnino.
Indagato impiegato della Corte dei Conti
Il dipendente pubblico della Corte dei Conti è indagato a piede libero. Si tratta di Fabio Zambelli, accusato di corruzione per aver accettato la “promessa” di 50mila euro, il 5% del valore di una tangente, per mettere a disposizione dei soggetti coinvolti nella corruzione di un funzionario regionale una stanza all’interno dell’ufficio giudiziario in viale Mazzini, dove volevano “trattare riservatamente” la corresponsione di mazzette per aggiudicarsi nel maggio 2018 un appalto della Regione Lazio.
Il finanziere indagato
Nella rete della corruzione è finito anche un finanziere dell’aeroporto di Fiumicino, Luigi Di Girolamo, accusato di aver effettuato, il 20 giugno 2018, un accesso abusivo alla banca dati interforze, su richiesta di Iannotta, per fare dei controlli su due persone e due targhe.
Le intercettazioni
Nell’ambito delle indagini sul clan di origine nomade, intercettato Gianluca Di Silvio, figlio del presunto boss Armando Lallà, parlando con un imprenditore dice, riferendosi all’intervento di Iannotta: “mo’ perché era Luciano, se era un’altra persona che ti dovevo fare io a te? Ti dovevo dare direttamente una botta in testa e buttarti in mezzo ai maiali”. Lo stesso il pentito Agostino Riccardo, “‘o sai perché… io co’ Luciano non posso strillà? Perchè io c’ho un’operazione in piedi co’ lui, non stò a scerzà”.
E così Renato Pugliese, anche lui collaboratore di giustizia e figlio del boss Costantino Cha Cha Di Silvio: “Ma secondo te, pe’ cinquanta sacchi va a perde venti milioni? Armà, ma se quel ragazzo, Luigi, scappa c’ha un patrimonio de venti milioni de euro. Secondo te Luciano se fa solà venti milioni? Quello va là, sai che dice? Luì hai trovato l’accordo co’ sti ragazzi. Quanto è? Cinquanta? Qua c’avemo cose da venti milioni, dammi sti cinquanta e basta!”.