Il “paziente uno” potrebbe essere un anziano ammalatosi di Covid a gennaio, ricoverato in una clinica privata di Piacenza per poi essere portato via da personale che indossava tute da biocontenimento. A raccontarlo un’infermiera della clinica Piacenza del gruppo Sanna, dove adesso sono in malattia ben 150 operatori su 250. Alcuni di loro si sono ammalati poco prima che a Codogno venisse diagnosticato il primo caso ufficiale di coronavirus.
Dunque, l’anziano risultato positivo, potrebbe essere il paziente numero uno, secondo l’inchiesta di Report. Un paziente ammalatosi ben prima di Mattia e non a Codogno.
I primi sintomi
Uno dei medici della clinica accusa i primi sintomi lo stesso giorno della diagnosi di Codogno. Si tratta di un chirurgo che ha operato fino al 12 febbraio e che viene contagiato. Il medico lo scopre, però, dieci giorni dopo a Tenerife. E in un’altra clinica del gruppo, la Sant’Antonino, il 17 febbraio un altro anziano viene portato via dal 118 e poi risulta positivo. Ma nessuno dà l’allarme nonostante nella zona, già da fine dicembre, fosse stato registrato un anomalo incremento di polmoniti particolarmente virulente e refrattarie alle cure. Nessuno cerca il virus.
La circolare scomparsa
Report scopre che il 22 gennaio una circolare del ministero della Salute dà due indicazioni: cercare nei pazienti sospetti un link con la Cina ma anche una polmonite che non risponde alle cure. Questo secondo punto scompare in una circolare di cinque giorni dopo per ricomparire solo il 9 marzo. E nel frattempo il virus dilaga cogliendo l’Italia impreparata.
Oms: “Il Piano contro le pandemie vecchio”
L’Oms ha ricordato che il piano nazionale contro le pandemie è vecchio di dieci anni. “Avremmo dovuto aggiornarlo ogni tre anni per essere pronti a ridurre l’impatto del virus sui servizi sanitari e sociali, tutelare medici e strutture ospedaliere, laboratori, farmacie, forze dell’ordine” spiegava l’Organizzazione mondiale della Sanità. “Avremmo dovuto predisporre dispositivi di protezione, fare scorta di antivirali e kit diagnostici. E invece non abbiamo neanche le mascherine. Il piano doveva essere coordinato dal ministero della Salute, dalle Regioni e dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, diretto da Claudio d’Amario. Ma prima di lui c’era Raniero Guerra, oggi ai vertici dell’Oms.”
Il governo sapeva: la delibera
Il sospetto che il governo sapesse di ciò che accadeva tra gennaio e febbraio viene confermato sia dalla circolare del ministero della Salute del 22 gennaio, sia da una delibera del Consiglio dei ministri risalente a fine gennaio 2020, pubblicata in Gazzetta ufficiale.
Come abbiamo riportato nell’articolo del 17 marzo scorso, il 31 gennaio 2020 il Cdm si riunisce per una “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.” In sostanza, come si legge nella delibera viene dichiarato “per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.
In quei giorni l’Esecutivo, e in particolare il premier Conte, rassicurava sulla situazione del coronavirus. In una conferenza stampa del 30 gennaio 2020, ovvero il giorno prima della delibera, Giuseppe Conte rassicurava gli italiani sui due casi accertati di coronavirus di quei giorni. “Sono due turisti cinesi che sono venuti nel nostro Paese” chiariva Conte. “Situazione sotto controllo e niente allarmismi”, ribadiva il premier. Peccato che uno dei suoi ministri, il ministro della Salute Roberto Speranza, proprio in quelle ore chiudeva il traffico aereo da e per la Cina.
Nonostante le rassicurazioni nella delibera del 31 gennaio si legge che “si provvede con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, nei limiti delle risorse. Per l’attuazione dei primi interventi, nelle more della valutazione dell’effettivo impatto dell’evento in rassegna, si provvede nel limite di euro 5.000.000,00 a valere sul Fondo per le emergenze nazionali di cui all’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1″.
Dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus
La stessa delibera prende atto della “dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020″ e “le raccomandazioni alla comunità internazionale della Organizzazione mondiale della sanità circa la necessità di applicare misure adeguate”. Viene inoltre considerata “l’attuale situazione di diffusa crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità connessi ad agenti virali trasmissibili, che stanno interessando anche l’Italia”. Viene imposta “l’assunzione immediata di iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività presente sul territorio nazionale”.