L’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus sta costringendo tutte le parti sociali a dare il proprio contributo. Il Governo sta agevolando, con una serie di misure e decreti legge, il lavoro di medici, infermieri e Protezione civile per meglio rispondere alle richieste di malati e pazienti. Ma in Regione Abruzzo, a quanto pare, non tutti riescono a recepire le direttive dell’Esecutivo.
La questione riguarda l’ospedale di Atessa (Ch) che, in seguito alla necessità di individuare strutture da adibire a Covid-Hospital, la Regione Abruzzo e l’Azienda Sanitaria Locale di Lanciano-Vasto-Chieti hanno optato per il suddetto nosocomio. Inizialmente la volontà era quella di ripartire i 120 posti letto di cui l’ospedale dispone in 60 posti per pazienti paucisintomatici, 48 posti per pazienti in terapia sub-intensiva e 12 posti per pazienti in terapia intensiva. Per questo, i pazienti ricoverati sono stati trasferiti presso altri ospedali per dare l’avvio a lavori di adeguamento della struttura.
L’entusiasmo dei residenti e la donazione
La notizia è stata accolta positivamente dalla comunità, anche perché l’impressione è stata quella di vedere nell’iniziativa un potenziamento della struttura sanitaria. Una decisione che ha contribuito a riversare sulla struttura ben 500mila euro donati da una cordata di imprenditori, tutti appartenenti all’area Chieti-Pescara, su iniziativa di Gennaro Strever, presidente Ance, al fine di permettere la riconversione del “San Camillo”.
Tutto bene? Manco per niente
In un’intervista all’Ansa il sindaco di Atessa, Giulio Borrelli, anticipa alcune questioni non più in linea con il progetto iniziale. “Ringrazio la generosità degli imprenditori, ma qui il problema è capire ora che vogliono fare con l’ospedale di Atessa, perché da un primo piano che prevedeva 120 posti divisi tra 60 di medicina Covid, 12 intensiva e il resto in sub intensiva, ora scopriamo che i posti di rianimazione sono spariti e che i 120 si dividono a metà tra medici e sub. Qui ad Atessa insomma non arriveranno né macchinari né specialisti”.
Il punto, però, è che nel frattempo i soldi sono arrivati e i lavori sono iniziati. Non solo.
A disposizione ci sono anche un bel po’ di soldi arrivati dal Governo centrale. Lo stesso Borrelli spiega: “In questo modo col milione e mezzo previsto si potranno comprare dei letti, qualche casco, e poi? Come li spenderete questi soldi? Secondo me questo è un modo per continuare a mortificare i piccoli ospedali, il cui ruolo sarebbe invece fondamentale, come abbiamo ancora riaffermato nella petizione sottoscritta ieri dai 50 sindaci del territorio”.
Perché, dunque, questa scelta, visto che le Regioni hanno il potere di mettere il Covid ovunque, anche nelle cliniche private?
Eppure, nel sopralluogo effettuato presso l’Ospedale il 16 marzo scorso, il Direttore Generale della ASL, Dr. Thomas Schael, ha confermato la propria volontà di istituire il Covid-Hospital nella struttura in questione, in quanto perfettamente rispondente alle esigenze tecnico-sanitarie. Quattro livelli disposti su una superficie totale di 9.800 mq. utili.
“Il retrogusto dello smantellamento”
Il comitato spontaneo in difesa dell’ospedale, aggiunge un altro elemento inquietante sulla vicenda. “A oggi, l’unica delibera valida è quella del 12 marzo che parla di chiusura. Atto che non è stato mai modificato nonostante le nostre pressioni. Tutti questi fatti ci portano a pensare che la direzione sanitaria, approfittando dell’emergenza, abbia pianificato lo smantellamento definitivo del nostro ospedale.”
Ricapitolando: la Regione avrebbe da tempo l’intenzione di smantellare l’ospedale di Atessa. Ora, con l’occasione del coronavirus, avrebbe preso la palla al balzo per promettere (e successivamente disattendere) interventi di ristrutturazione che, a quanto pare, non ci saranno. Un cambio di rotta dovuto, a quanto pare, a una decisione del Governo.
Colpa del Governo?
L’assessore alla Sanità, Nicolettà Verì, in una recente conferenza stampa, ha dichiarato che l’ospedale di Atessa non può essere “Covid-hospital perché per il ministero non è un ospedale ma un presidio territoriale di assistenza.” A provare a dare una spiegazione è anche l’assessore regionale, Nicola Campitelli. “Il Ministero della Salute – precisa Campitelli – non ha ritenuto adeguata la nostra proposta. Pertanto ad oggi, nelle more dell’evoluzione della situazione epidemiologica del contagio da COVID-19, nel P.O. di Atessa verranno ricoverati esclusivamente i pazienti positivi al Covid- 19 che non necessitano di rianimazione e terapia intensiva. Nulla di tutto ciò influisce sulla situazione post emergenziale.”
Il Decreto “Cura Italia”
Parrebbe, dunque, che la colpa sia tutta del decreto del Governo. Ciò avrebbe giustificato il passo indietro di Schael, della Verì e del governatore della Regione Abruzzo, Marco Marsilio. “La Regione Abruzzo si è espressa contro la volontà di istituire posti letto di terapia intensiva nell’ospedale di Atessa, in quanto quest’ultimo non avrebbe il codice sanitario P.O. di Presidio Ospedaliero, bensì il codice PTA di Presidio Territoriale di Assistenza” spiega il senatore Luciano D’Alfonso, in una comunicazione urgente al Senato riguardante l’Ospedale di Atessa.
Eppure l’articolo 4 del dpcm del 17 marzo 2020 recita: “Le Regioni e le Province autonome possono attivare, anche in deroga ai requisiti autorizzativi e di accreditamento, aree sanitarie anche temporanee sia all’interno che all’esterno di strutture di ricovero, cura, accoglienza e assistenza, pubbliche e private, o di altri luoghi idonei, per la gestione dell’emergenza COVID-19, sino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020. I requisiti di accreditamento non si applicano alle strutture di ricovero e cura per la durata dello stato di emergenza.” Ancora: “Le opere edilizie strettamente necessarie a rendere le strutture idonee all’accoglienza e alla assistenza per le finalita’ di cui al comma 1 possono essere eseguite in deroga alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001”.
Perché il Governo non avrebbe autorizzato l’operazione?
Ma c’è un’altra questione che non trona. Perché la struttura Fiera di Milano è stata autorizzata e quella di Atessa no? “Alla luce di quanto previsto nel decreto legge ‘Cura Italia’ e di quanto sta avvenendo in altre regioni come la Lombardia in cui si sta adibendo ad ospedale Covid-19, senza codice sanitario alcuno, la struttura della Fiera di Milano – scrive D’Alfonso – sorgono alcune perplessità circa il codice P.O. o PTA.“
Due sono le cose: o la Regione Abruzzo non riesce a leggere gli atti oppure il Governo effettua delle distinzioni.