Chiuse le indagini della procura di Milano sulla vicenda dei rider di Uber Italy.
Il pm, Paolo Storari, aveva aperto un fascicolo sul caporalato dei rider per le consegne di cibo a domicilio e sui reati fiscali. Il tribunale, il 29 maggio scorso, aveva disposto, con un provvedimento il commissariamento di Uber Italy, filiale del ‘colosso’ americano.
Per l’accusa i rider venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione sia dal punto di vista retributivo sia dal punto di vista lavorativo.
Le intercettazioni
“Davanti a un esterno non dire mai più ‘abbiamo creato un sistema per disperati’. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori”. Così parlava al telefono con un altro dipendente di Uber Italy, Gloria Bresciani, manager della filiale italiana del colosso americano. La Bresciani è indagata per caporalato nell’inchiesta milanese che punta a far luce sul sistema di sfruttamento dei rider nel servizio ‘Uber eats’.
Derubati anche della mancia
Il pm Storari nell’avviso di conclusione delle indagini scrive: “i rider venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale, come riconosciuto dagli stessi dipendenti Uber”. Dieci in totale gli indagati, di cui Bresciano è l’unico manager di Uber Italy. I rider, si legge nell’avviso di chiusura indagini, erano “Pagati a cottimo 3 euro a consegna, indipendentemente dalla distanza da percorrere (ritiro presso il ristoratore e consegna finale al cliente), dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna/notturna e giorni festivi) e pertanto in modo sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”. Secondo il pm i lavoratori erano “‘derubati’ delle mance che i clienti lasciavano spontaneamente ai rider quale attestazione della bontà del servizio svolto. E ‘puniti’ attraverso una arbitraria decurtazione del compenso pattuito, qualora i rider non si fossero attenuti alle disposizioni impartite”.
179 euro a settimana di paga
Nell’atto la Procura ha riportato anche un “prospetto” per mostrare la paga settimanale rapportata alle ore lavorate per alcuni rider. Uno di loro per una settimana di lavoro a maggio – per un totale di “68 ore” di consegne – aveva incassato “179,50” euro e aveva subito una decurtazione di 24,5 euro.
Gli altri indagati
Tra gli indagati anche i dirigenti di altre società che lavoravano per conto del colosso, la Flash Road City e FRC srl. Sono accusati di aver reclutato i rider incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso le loro imprese per poi destinarli al lavoro presso Uber “in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale”.