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Cesare Battisti: la Cassazione conferma l’ergastolo. “Io non sono un killer”

Cesare Battisti stanco
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Per l’ex terrorista dei Pac l’ergastolo è stato confermato. Per Cesare Battisti la prima sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa.

Il 17 maggio scorso, la Corte di Assise di appello di Milano aveva negato la commutazione della pena dell’ergastolo in quella di trent’anni di reclusione. Oggi la Cassazione mette la parola definitiva sulla vicenda confermando la sentenza della Corte di Assise.

Cesare Battisti, condannato per quattro omicidi compiuti  alla fine degli anni Settanta, aveva depositato un ricorso alla Corte di Cassazione con la richiesta di annullamento della sentenza del 22 maggio scorso in cui la Corte d’Assise d’Appello di Milano gli aveva confermato la pena definitiva dell’ergastolo.

Arrestato dopo 37 anni di latitanza, i giudici avevano respinto la richiesta di commutazione della pena in 30 anni di reclusione sulla base degli accordi bilaterali tra Italia e Brasile.

Cesare Battisti e il movente ideologico

“Io non sono un killer” ma un uomo animato da un “movente ideologico”. Così si difendeva Cesare Battisti durante l’interrogatorio reso nel carcere di Oristano davanti al pm di Milano Alberto Nobili. “Voglio precisare che lei mi ha parlato di freddezza – disse al giudice – che sembrerebbe che io abbia manifestato nei casi in cui ho sparato. Io non sono un killer ma sono stato una persona che ha creduto in quell’epoca nelle cose che abbiamo fatto. La mia determinazione era data da un movente ideologico e non da un temperamento feroce, quando credi in una cosa, sei deciso e determinato. A ripensarci oggi provo una sensazione di disagio ma all’epoca era così”.

Ammissione dei quattro omicidi

In quell’interrogatorio Battisti ammette i quattro omicidi per i quali è stato condannato all’ergastolo. Omicidi avvenuti senza appoggi particolari: “Escludo di avere mai avuto rapporti logistici o finanziari da soggetti italiani per favorire la mia latitanza quando ero in Brasile mi fu anche contestato da un giudice che io avrei avuto rapporti con i servizi segreti francesi che mi avrebbero favorito, si tratta di pura fantasia”.

L’evasione dal carcere

Battisti evase dal carcere di Frosinone nel 1981 “grazie all’aiuto di appartenenti a gruppi armati di differente collocazione nel mondo della lotta armata. Ritenevano che io avrei potuto incontrare alcuni elementi e portare un messaggio che poi sarebbe stato finalizzato a cessare l’attacco armato nei confronti dello Stato. E non solo. Sarebbe servito a mantenere anche la disponibilità delle armi per scopi difensivi e ad aiutare compagni ad evadere”. “In realtà – spiega – io già dentro di me covavo l’idea della dissociazione e non a caso, pochi mesi dopo, circa due, decisi di abbandonare tutto e tutti e di rifugiarmi in Francia”.

Gli omicidi

Sempre nel carcere di Oristano, Cesare Battisti ricostruisce i suoi quattro omicidi che gli sono costati l’ergastolo. “Il mio primo omicidio è stato quello del maresciallo Santoro, capo delle guardie carcerarie di Udine. L’indicazione di commettere l’azione venne dai compagni del Veneto per le ‘torture’ commesse nel carcere a carico dei detenuti politici. Partecipai all’azione esplodendo soltanto i colpi di arma da fuoco che causarono la morte del Santoro. Non so indicare per quale motivo esatto venne deciso di ucciderlo, a differenza di quanto fu fatto per l’agente di custodia Nigro, in quanto ero appena giunto nel gruppo armato e l’azione era già stata decisa. Per quello che posso dire ho appreso che il Santoro si era comportato in modo più violento di Nigro”.

“L’omicidio di Andrea Campagna – continua Battisti – cui ho partecipato sparando, è stato ordinato dal collettivo di zona Sud, in quanto era ritenuto uno dei principali responsabili di una retata di compagni del collettivo Barona che erano poi stati torturati in caserma. Lui conosceva bene i soggetti del collettivo Barona in quanto il ‘suocero’ abitava in quella zona. Per lui fu decisa la morte nel corso di una riunione dei Pac e mi sono reso disponibile all’azione”.

Gli appoggi politici

Battisti riferisce di essere stato sostenuto, durante la latitanza, “da partiti, gruppi di intellettuali, soprattutto nel mondo editoriale, come sostegno ideologico e logistico”. “Sono stato appoggiato per una pluralità di ragioni che vanno sia dal fatto che mi proclamavo innocente, sia dal fatto che in molti Paesi esteri non è concepibile una condanna in contumacia e sia perché cercavo di dare di me l’idea di un combattente della libertà, come io mi sentivo per i fatti degli anni ’70”.

Il caso Torreggiani

Sulla vicenda, l’ex leader dei Pac è chiaro: “ho sostenuto la linea di ferire e non uccidere Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin”. “Ci tengo in particolare a questa precisazione – afferma Battisti – che non cambia nulla circa la mia posizione perché per anni sono stato ‘massacrato’ dalla stampa e dall’opinione pubblica quale principale responsabile della morte di Torreggiani e Sabbadin”. “C’erano state discussioni accese sulla morte di Sabbadin e Torregiani ma alla fine era prevalsa la linea che io, insieme ad altri, avevamo sostenuto, ovvero ferire e non uccidere”.

 

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